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sabato 20 aprile 2013

L'evoluzione del timbro vocale 3

Il timbro vocale dopo Armstrong

DOMANDA: COS'E' LO SCAT?


«Una voce di ghiaia e di fango, di una bellezza scabra e ruvida, fuori da ogni canone e convenzione», è così che Luciano Federighi descrive la voce di Armstrong e come dargli torto dopo aver ricordato quali erano gli stereotipi vocali dell’epoca?
Louis Armstrong (New Orleans 4 agosto 1901 – New York 6 luglio 1971) fu un vero e proprio sdoganatore vocale in quanto la sua voce segnò lo spartiacque tra il passato belcantistico e il futuro del canto moderno. Anche nel suo caso quello che poteva sembrare un punto debole fu in realtà l’arma vincente che lo contraddistinse da tutti gli altri cantanti ovvero una non naturale predisposizione al canto pulito e limpido.
Armstrong, infatti, era dotato di un timbro roco e sforzato che, da persona intelligente qual era, decise anche di esasperare creando un mix esplosivo tra il suo personaggio bonaccione e sempre sorridente, utile maschera da indossare per passare indenne sotto gli occhi razzisti dei bianchi che non avrebbero accettato lezioni da un nero che si fosse presentato come un serioso innovatore musicale, e la sua voce. Una voce certamente inimitabile ma che invitava, con la sua trascinante particolarità, ad essere imitata e omaggiata da tutti, non solo dai cantanti, ma anche dagli imitatori dei cantanti o da musicisti che giocosamente esponevano un tema alla maniera di Armstrong. Anche  in Italia, nella patria del bel canto, la voce di Armstrong veniva percepita così fuori dagli schemi che fu imitata per anni e non solo nell'ambiente del jazz, così come succedeva con quella di Jerry Lewis  che non era altro che la voce del suo doppiatore italiano: Carlo Romano.
Così nel film Hello Dolly Barbra Streisand duetta con Louis Armstrong nella canzone che dà il titolo al film e, ridendo come per confermare che la maschera da buontempone e la simpatia che ispirava Louis nel prossimo erano una grandissima pubblicità per lui, imita la sua voce baritonale. Il timbro di Armstrong, probabilmente condizionato da qualche disfunzione cordale, riusciva ad essere si graffiato ma non aggressivo, anzi era coinvolgente e rassicurante, la peculiarità roca veniva data dalla vibrazione dei muscoli tiroaritenoidei, detti anche muscoli vocali, determinano con la loro contrazione un accorciamento e conseguente allargamento delle corde vocali che messi in vibrazione con grande sforzo producono il suo caratteristico colore timbrico. Questo particolare tipo di fonazione, richiedendo una grande spinta del fiato, è difficilissimo da sostenere e soprattutto doloroso anche se controllato con sapienza come faceva Armstrong, anche questa volta però un punto debole andò a arricchire quella che si può tranquillamente definire la poetica vocale di Louis facendogli prediligere l’aspetto ritmico staccato al legato in voga all’epoca.
A testimonianza dello sforzo impresso alla colonna d’aria smossa da Armstrong per far entrare in vibrazione i muscoli tiroaritenoidei, si può osservare che per produrre il vibrato era costretto a muovere la testa velocemente in su e in giù dato che un suono sforzato, per definizione, non può trovare una vibrazione naturale a livello laringeo avendo i muscoli fono-articolatori tesi a supportare lo sforzo e non avendo quindi la mobilità necessaria per poter oscillare impedendo il vibrato laringeo. Anche il questo caso (sono più propenso a pensare che l’intelligenza di Armstrong fu molto più determinante di quello che si possa pensare del caso) un difetto divenne caratteristica: la scuola belcantistica imponeva nel suo stile un vibrato pressoché costante (in musica si sa che abusare di un mezzo interpretativo è come eliminarlo del tutto perché non lo si fa risaltare negando il confronto con il suo opposto, in questo caso la nota tenuta) mentre Armstrong lo liberava da questa prigionia sviscerandolo solo nei punti che desiderava sottolineare.
Altra caratteristica che Armstrong inserì nel suo stile andando a modificarne il timbro fu l’uso dell’aria, discostandosi ancora di più dai paradigmi passati della tecnica vocale che imponevano un suono puro eliminando del tutto il rumore del fiato, Louis lo inserì copiosamente quasi al termine di ogni sua frase cantata e in maniera ancora più evidente nelle dinamiche più tenui. Con il grande lavoro muscolare che sosteneva per cantare riusciva a riscaldare anche quel tipo di suono normalmente freddo e privo di energia  rendendolo dolce e per niente fastidioso, permeando così il suo timbro di umanità. Il messaggio vocale col quale Armstrong si presentava al pubblico era sostanzialmente quello di non essere un cantante elevato e irraggiungibile se non dopo anni di severi studi tecnici ma un nuovo tipo di cantante vicino alla massa che ne incarnava le caratteristiche più affabili e divertenti mettendo tutto ciò sempre al servizio dell’interpretazione dei brani che non venivano sviliti ma anzi valorizzati da questo nuovo stile vocale: il canto moderno. Armstrong diede vita così anche ad una vera e propria rivoluzione culturale e sociale capendo prima di tutti l’importanza di raccogliere consensi facendo si che il pubblico si riconoscesse in lui. Il fatto che fosse afroamericano poi certamente non è da sottovalutare.

È interessante, inoltre, notare quanto Armstrong sia uno spartiacque che riusciva ad incarnare in se sia la conservazione timbrica del passato sia la rottura più totale protendendo verso il futuro, è possibile notare questo confrontando il suono della sua voce con quello della sua tromba. Louis fu un noto appassionato di lirica (era un accanito collezionista di dischi di soprani) e incorporava la tecnica vocale lirica, squillante ed acutista, nel suo modo di suonare innovando di molto la tecnica ed il fraseggio trombettistico, al contempo però manifestava una sorta di schizofrenia timbrica facendo l’esatto opposto con la sua voce di roca e scherzosa attirando le simpatie dei musicisti, affascinati dal suo modo di suonare, e dei non addetti ai lavori con il suo timbro vocale e le sue mimiche facciali.
Anche quest’ultime infatti svolgevano la doppia funzione di intrattenimento visivo sopperendo anche alla necessità di sostegno di un suono tanto amabile all’esterno quanto scomodo all’interno. Spesso accompagnava alle sue smorfie cambiamenti timbrici dettati dall’uso sapiente dei suoi filtri vocali: altro elemento di rottura col passato nel quale il timbro doveva essere uno e sempre omogeneo sia nel grave che nell’acuto.
Altra incredibile innovazione, probabilmente la più importante, che portò Louis Armstrong fu l’invenzione del linguaggio improvvisativo vocale: lo scat. Certamente negli anni venti era già in voga tra gli appassionati il canticchiare tramite sillabe gli assoli dei propri dischi preferiti ma Armstrong, anche grazie alla sua popolarità, portò alla ribalta questa prassi facendola diventare parte del bagaglio di ogni buon cantante jazz. Leggenda narra che nel 1926, durante la registrazione di Heebie Jeebies con il suo gruppo The Hot Five, si trovò a dover improvvisare una parte del brano con sillabe inventate perché gli cadde il foglio con il testo dal leggio. Improvvisamente la voce non aveva più il solo scopo di narrare il testo ma venne liberata dalle catene della parola  consegnandola a pieno titolo al mondo della musica strumentale. Da quel momento in poi ogni cantante di scat userà una propria sillabazione caratteristica (scat words) che, insieme con il timbro della voce, gli danno una caratterista di riconoscibilità immediata in più. Come giustamente afferma Bob Stoloff: «Louis Armstrong diede voce al jazz».
Riassumendo possiamo dire che un musicista nero mettendo da parte il suo orgoglio riuscì a farsi conoscere al mondo portandosi dietro un bagaglio di contraddizioni timbriche e culturali, tanta furbizia e un talento sconfinato innovando tra gli altri il mondo del canto che da tempo attendeva di essere scosso da un vero e proprio terremoto che portò ghiaia e fango ed un nuovo modo di concepire la voce nella modernità.



RISPOSTA: LO SCAT E' UNA FORMA DI IMPROVVISAZIONE VOCALE CHE SFRUTTA L'USO DI SILLABE PRIVE DI SIGNIFICATO PER DARE RITMO ALLA LINEA MELODICA VOCALE IMPROVVISATA


lunedì 1 aprile 2013

L'evoluzione del timbro vocale 2


Le 2 fasi del timbro Jazz: il timbro prima di Armstrong

DOMANDA: QUALE STRUMENTO PERMISE ALLA VOCE DEL CANTANTE MODERNO DI STACCARSI DALL'INFLUENZA BELCANTISTICA?

Tra i vari affluenti che, sfociando in un unico bacino, hanno dato vita all’oceano che oggi definiamo jazz il meno blasonato e considerato dai non addetti ai lavori è certamente la musica classica. Difficilmente si accosta il mondo severo dell’interpretazione delle volontà del compositore di musica classica con la libertà dell’improvvisazione jazz, soprattutto se non si tiene conto di quanto rigore sia invece necessario nella preparazione di un musicista jazz.
Se andiamo a parlare dell’aspetto vocale di questi due universi, musica classica e jazz, i paragoni sembrano ancora più improponibili, sensazione dettata da fattori pressoché evidenti: tralasciando il repertorio e il fatto che il cantante jazz spesso e volentieri improvvisa su di un brano cambiandone anche il tema, la caratteristica che più di tutte allontana questi mondi è proprio quella timbrica. Nel fare questo ragionamento ovviamente non si potrà parlare di tutte le vocalità che hanno composto il firmamento delle voci jazz ma dovremo attuare una sommaria ma comunque significativa semplificazione.
Il cantante lirico ha un timbro piuttosto standardizzato dovuto alla sua tecnica vocale che rende difficile per un non appassionato il riconoscimento di due diversi cantanti alle prese con la stessa aria, il cantante jazz invece enfatizza il proprio timbro cercando di far spiccare il più possibile la sua personalità. Questo è causato dalla cosiddetta formante del cantante ovvero la concentrazione degli armonici del cantante lirico nella fascia di frequenza attorno ai 3 kHz con lo scopo di occupare la gamma dello spettro sonoro non impegnato dall’orchestra e quindi di rendersi udibili con più facilità, un cantante jazz invece cercherà di distribuire le proprie armoniche su tutto lo spettro in modo da avere un timbro meno pervasivo e direzionato ma più avvolgente.
  


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Altre differenze che saltano subito all’orecchio risiedono sicuramente nel volume vocale, il cantante lirico per tradizione canta senza amplificazione e deve riuscire a farsi sentire fino alle ultime file del teatro e per far ciò dovrà ricorrere ad una serie di stratagemmi che elimineranno necessariamente la possibilità di usare mezzi interpretativi quali i respiri ed i sospiri; un cantante jazz invece predilige l’agilità andando quindi a ridurre il peso vocale e sfruttando spesso quei suoni sospirati che di fatto lo caratterizzano.
Nonostante sembrino due realtà in antitesi, all’inizio dello sviluppo del jazz erano profondamente legate in quanto l’America guardava con ammirazione all’Europa, e quindi anche all’Italia, per la sua grande tradizione musicale e, soprattutto, per le opere liriche.
La prima opera rappresentata negli Stati Uniti fu Sylvain di André Grétry il 22 maggio 1796 a New Orleans dopo la quale esplose una vera e propria febbre da teatro dell’opera e spesso le compagnie operistiche europee di successo facevano tournée negli Stati Uniti riscuotendo grandi successi e appassionando i cuori dei musicisti non solo per quel che riguarda l’aspetto armonico ma anche melodico. Di fatto, il break di tromba di Armstrong in New Orleans Stomp del 1927 per esempio non è altro che una sagace citazione dell’aria di Maddalena del quartetto del Rigoletto.
Certamente anche per quel che riguardava il canto l’influenza belcantistica fu enorme erigendosi a vero e proprio stilema dell’unico modo di cantare. Ecco quindi che non solo i professionisti lirici cantavano con la classica voce impostata ma anche la gente comune inglobava questo stile nella vita di tutti i giorni. Il risultato fu che i primi cantanti di musica popolare altro non erano che imitazioni timbriche dei cantanti lirici, le caratteristiche ricercate erano un suono rotondo sempre proiettato, chiaro dal sapore tenorile, pesante ma senza potenza dovuta alla mancanza di uno studio serio della tecnica lirica.
Tutto questo purtroppo portò alla creazione di generazioni di cantanti liricheggianti privi di personalità e stilisticamente freddi ai nostri orecchi. Quello che però fu il loro punto debole si rivelò essere la chiave di volta per uscire da questa situazione di sudditanza nei confronti della lirica, ovvero la mancanza di potenza.  Questa carenza portò ad affidare la propria voce al microfono, strumento inventato prima per usi di telefonia nel 1878 poi adattato alla registrazione sonora e, quando fu dotato di capacità non solo di trasmissione ma anche di amplificazione, per veicolare la voce dal vivo.
Ecco allora che la gabbia del volume fu finalmente aperta e i cantanti potevano essere liberi di dosare in maniera diversificata la propria voce senza per forza essere sempre declamatori ed impostati. Questo, tuttavia, non bastò perché la sudditanza al timbro classico era ancora molto forte e il canone di bello dell’epoca rispondeva sicuramente ancora agli stilemi lirici. Solo un vero e proprio terremoto avrebbe potuto rompere questo legame e far progredire il canto jazz finalmente per una propria strada a se stante: questo terremoto avvenne e portò il nome di Louis Armstrong.

continua...



RISPOSTA: LA VOCE DEL CANTANTE MODERNO SI STACCO' DALL'IDEALE BELCANTISTICO GRAZIE AL MICROFONO

lunedì 25 marzo 2013

L'evoluzione del timbro vocale

DOMANDA: DA COSA DIPENDE IL COLORE DI UN TIMBRO VOCALE?

Introduzione

Il timbro è quella speciale qualità del suono che permette di distinguere uno strumento da un altro a parità di altezza ed intensità. Esso dipende dalla natura del corpo che emette il suono e dalla forma delle vibrazioni emesse. Ogni singola nota viene sempre accompagnata da una serie di suoni subordinati che, amalgamati al principale, risultano impercettibili al nostro orecchio: questi suoni, detti suoni concomitanti o armonici, sono responsabili della diversificazione di un particolare timbro determinandolo in base alla loro quantità e al modo in cui si combinano tra di loro. Di fatto, gli strumenti che producono un numero scarso di armonici sono caratterizzati da suoni poveri di colore. Se, invece, la nota fondamentale è accompagnata da molti suoni concomitanti il timbro sarà caldo e rotondo: al contrario, se prevalgono gli armonici acuti e mancano i primi il timbro sarà aspro e stridulo.
Nel jazz il timbro di solito è il parametro meno analizzato: eppure è la caratteristica che più di ogni altra permette al non iniziato di riconoscere qualcosa come afferente o meno all’espressione musicale jazzistica. La prima causa della confusione tra il jazz più autentico e i suoi derivati commerciali è che quest'ultimi impiegano lo strumentario e la timbrica propri del jazz. Perfino compositori come Stravinsky, Milhaud e Ravel negli anni Venti del Novecento fecero l'errore di considerare ingredienti unici del jazz la strumentazione e la sonorità trascurando l'inflessione e l'improvvisazione. La sonorità tipica del jazz, invece, si può far risalire direttamente al canto e indirettamente alla parlata e al linguaggio dell’Africa centro-occidentale. Più ci allontaniamo dal nucleo della tradizione africana, più ci allontaniamo dall'originaria concezione della sonorità jazz.
La parlata, il canto e l'esecuzione musicale africani sono caratterizzati tutti da un tono aperto e naturale. In ciò appaiono più vicini alla tradizione europea e occidentale che a quella islamica, contraddistinta da suoni sottili, nasali e oscillanti. La musica islamica si riconosce nella vocalità nasale e stridula: nel suo strumentario, analogamente, dominano le ance doppie e gli strumenti a corda. Ecco una ragione sostanziale per cui strumenti come oboe, fagotto e gli archi più acuti non hanno facilmente trovato posto nel jazz. Lo strumentario africano rispecchia le caratteristiche della parlata africana: lo si sente nelle risonanze profonde dei corni d’avorio, nei timbri penetranti dello xilofono e della marimba e perfino nel colore scuro della voce del flauto.
L’identificazione tra voce e strumenti delle popolazioni dell’Africa centro-occidentale era, ed è ancora, così determinante da aver portato all’africanizzazione di strumenti a loro estranei come quelli dell’area sub sahariana, ovvero alla modifica di questi strumenti in modo da rendere il timbro più simile a quello della parlata africana modificando forma, dimensioni dei risuonatori o aggiungendo sonagli e sordine.
Il carattere africano del timbro jazzistico si percepisce, inoltre, nell’individualità e nella personale inflessione del musicista che pratica questa musica. L’energia e la forza comunicativa del jazz stanno nella ricerca di un approccio personale ed originale che, conseguentemente, andrà a caratterizzare il linguaggio di ogni grande musicista di jazz rendendolo riconoscibile, prima ancora che dal fraseggio o dallo stile, dal timbro sonoro.
Anche nel caso della voce umana il timbro, detto anche metallo o tempera, è una sorta di impronta digitale che garantisce la riconoscibilità della fonte di uno stesso suono emesso da due persone diverse. Come per gli altri strumenti il timbro vocale è determinato da due fattori: la sorgente sonora e i risonatori. La sorgente sonora vocale è situata nella laringe, all’interno del tratto vocale, e saranno importanti per il timbro fattori come lo spessore e le dimensioni delle corde vocali che ostacolano il flusso d’aria tramite la loro adduzione come accade ad un vero e proprio strumento ad ancia. I risonatori, invece, si possono identificare con tutte le cavità situate all’interno del cranio nelle quali i suoni vengono amplificati prima di uscire dalla bocca. Essendo ogni persona unica per conformazione anatomica avrà, di conseguenza, un timbro vocale unico.

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Diversamente dagli altri strumenti, lo strumento voce ha la peculiarità di non essere fisso, ma di potersi modificare nei limiti dettati dal proprio profilo anatomico dando la possibilità al cantante di modellare il timbro di partenza colorandolo a piacimento. Definiamo, dunque, filtri i meccanismi che permettono la capacità di ispessirsi e di inclinare il piano vibratorio delle corde vocali che determinano lo spessore vocale ed il suo meccanismo pieno (M1) o di falsetto (M2); la mobilità delle corde vocali false che se sovrapposte a quelle vere determinano una distorsione del suono iniziale; la possibilità della laringe di muoversi in alto o in basso lungo il tratto vocale scurendo o schiarendo la voce; la capacità di restringimento del colletto della laringe che da penetranza al suono e la mobilità del palato molle che tramite la sua apertura o chiusura determina la nasalizzazione del suono.
L’insieme di tutte queste varianti lascia intendere quanto il timbro vocale sia unico e, contemporaneamente, malleabile diventando l’alleato principe dell’interpretazione artistica, se aggiungiamo a tutto questo che tramite alcune tecniche come il canto armonico (particolare emissione vocale che permette la scissione tra il suono fondamentale e i suoni armonici) e anche l’esercizio vocale in sé è possibile far crescere e maturare il proprio timbro capiamo quanto esso venga sottovalutato e tralasciato nei corsi di canto credendolo immutabile per natura.
Quando si parla di diversità di suoni in base alla tempera spesso si sfocia nella sinestesia definendo una voce calda o fredda, colorata, dura o morbida, evocando immagini o sensazioni eccetera questo è dovuto all’impossibilità di agire coscientemente tramite l’osservazione diretta dei cambiamenti del proprio strumento, nonostante al giorno d’oggi sia possibile farlo tramite la laringoscopia.

Fatta questa premessa e dati gli strumenti per poterci orientare nel mondo del timbro vocale iniziamo il percorso descrittivo dell’evoluzione del timbro jazz partendo dalle sue influenze ed origini fino ai giorni nostri, scopriremo che spesso i cambiamenti timbrici, dovuti sia alle diverse personalità che al diverso modo di gestire i filtri vocali, hanno evidenziato un progressivo distaccamento dal suono pieno e plateale verso uno più intimo ed introspettivo. Il vero protagonista in questo processo di modernizzazione vocale è per l’appunto il timbro.

continua...



RISPOSTA: DIPENDE DAL NUMERO DI SUONI SUBORDINATI O ARMONICI PRODOTTI DURANTE LA FONAZIONE E DAL MODO IN CUI SI COMBINANO TRA DI LORO

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