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lunedì 13 maggio 2013

Ansia VS Presenza scenica 7: L'applauso

Prendere gli applausi con generosità e ringraziare



La fine di un qualcosa di bello è sempre un momento molto importante ed emozionante.
Lo è per voi che finalmente potete rilassarvi dopo una bella esibizione ma lo è soprattutto per il pubblico che diventa da parte passiva a parte attiva dimostrando la sua gratitudine nei vostri confronti con gli applausi.
Questo è il modo più spontaneo che il pubblico ha per dimostrare il gradimento dell'esibizione e per ringraziarvi di averli presi per mano e accompagnati nel viaggio emozionale che è un concerto.
Anzi vi dico di più, il pubblico vuole farsi ascoltare!
Non scappate al termine del live farete sentire il pubblico poco importante e avrete dato l'impressione di aver cantato per voi stessi, completate la serata godendovi gli applausi:

  • Ringraziare (sempre e comunque sia dopo una serata fantastica sia dopo una storta)
  • Smile! (dimostrate che apprezzate gli applausi, sorridete e rimanete in contatto col vostro pubblico)
  • Presentate gli altri (anche se l'avete fatto durante la serata cogliete l'occasione per spartire la gloria con i vostri amici musicisti e presentateli di nuovo, da una idea di forte coesione e non di protagonismo sfrenato)
  • Lasciate il palco con stile (rimanete nel personaggio fino a quando anche il vostro ultimo piede non sarà sceso dal palco continuando a dare impressione di autenticità e riconoscibilità. Quando il pubblico sa come identificarvi sa anche quando ha voglia di rivenirvi ad ascoltare)

Eccoci giunti alla fine del nostro percorso iniziato 7 punti fa con tanta paura, ansia e preoccupazione!
Spero che i miei consigli possano aiutarvi a migliorare nel rapporto col palco-pubblico-voi stessi ma che soprattutto vi permettano di godervi fino infondo l'esperienza della vostra voce dal vivo.
Quindi buttatevi e ributtatevi, poco alla volta queste cose diventeranno automatiche e non avrete più bisogno di pensarle!

Quanto fa 5+5? …. Ci avete pensato? … Ovviamente no (spero:-) ) 
anche il vostro rapporto col palco diventerà così naturale con la pratica e con questi 7 punti!


FATEMI SAPERE COME VI TROVATE COMMENTANDO QUESTI POST! 

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Ansia VS Presenza scenica 6: Recitare sempre

Si canta soprattutto quando non si canta

Questo affermazione che può sembrare paradossale in realtà porta dentro di se una grande verità.
All'interno di una esibizione live non possiamo mai permetterci di far cadere la tensione solo perché non stiamo cantando, il pubblico continuerà comunque a guardarci anche se siamo in un momento di pausa perché per lui il riferimento è sempre il cantante in quanto suonando uno strumento che tutti abbiamo (la voce) gode di una empatia particolare con la platea.
Pensateci un attimo, cosa pensereste se durante un film l'attore che ha appena finito di recitare la sua battuta si distrae facendosi i cavoli suoi uscendo dalla parte mentre aspetta che l'altro termini di dargli risposta?
Perché è esattamente questo che siamo quando ci esibiamo: degli attori! Interpretiamo noi stessi è vero ma ad un livello più alto ovvero da artisti.
Continuiamo ad osservarci dall'esterno e rimaniamo coerenti con la figura artistica che abbiamo deciso di interpretare dall'inizio del concerto, ecco 4 piccoli suggerimenti che però non escludono quello che ci siamo detti nei punti analizzati prima, li vanno solo a completare:

  • Passa la palla (Se vuoi far risaltare un altro musicista passagli la palla dell'attenzione, avvicinati a lui e fallo notare al pubblico che altrimenti sarà distratto sempre dalla tua figura di cantante)
  • Mantieni l'espressione (il volto è la parte più comunicativa del corpo umano, durante gli stacchi non distrarti, mantieni o modifica la tua espressione coerentemente con l'atmosfera del brano)
  • Non sentirti fuori luogo (il cantante non è mai fuori luogo! Se si sente fuori luogo significa che deve cambiare mestiere :-) scherzi a parte non imbarazziamoci se stiamo davanti a tutti senza cantare perché il nostro ruolo impone anche questo, manteniamo per primi viva la nostra attenzione per farla tenere alta al pubblico)
  • Non bere! (evita di bere durante le parti strumentali, farai percepire poca partecipazione al pubblico e al resto del gruppo, peggio ancora se invece stiamo cantando da soli! Cerchiamo di bere solo tra una canzone e l'altra)

Troppe volte i cantanti sembrano dei giocatori di ruolo, finito il loro turno si disinteressano di tutto riprendendo vigore solo quando ritocca di nuovo a loro! Impariamo a stare sul palco anche senza cantare e per farlo non c'è bisogno di essere dei ballerini.
In scena si è attori protagonisti sempre e, SE L'ATTORE RECITA MALE ROVINERA' TUTTO IL FILM! ;-)

Un grandissimo cantante-attore è certamente Bono degli U2 guardatelo (oltre che ascoltarlo) e capirete il perché




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domenica 12 maggio 2013

Ansia VS Presenza scenica 5: Libera la visuale

Eliminare ciò che sta tra chi canta e chi ascolta

Almeno che non stiate facendo musica da sottofondo dove non siete voi i protagonisti della situazione ricordatevi che il contatto diretto col pubblico è fondamentale!
Ogni cosa che ostruisce o anche semplicemente ostacola il contatto visivo tra il pubblico e la vostra figura (presa nella sua totalità) va a danneggiare la comunicazione emozionale.
Ci sono diversi errori che noto anche in situazioni professionali con grande visibilità come i talent show e che si potrebbero evitare con semplicissime accortezze.

  • Sposta il leggio (se proprio ne hai bisogno toglilo da davanti e spostalo di lato, fai in modo che non dia fastidio al pubblico che ti deve guardare e tienilo basso)
  • Sposta l'asta (se decidi di staccare il microfono dall'asta per dare un elemento di novità scenica ricordati di passarci davanti o di spostarla in modo che non dia fastidio al pubblico, non c'è nulla di più fastidioso di guardare un cantante con l'asta davanti alla faccia)
  • Non "subire" il cavo (elemento di enorme distrazione per il cantante è il cavo del microfono, non siate goffi e toglietelo con decisione da davanti ai vostri passi, se invece volete interagirci fatelo ma con sicurezza ricordando che comunque anche questo fattore va a interporsi tra voi ed il pubblico)
  • Non dietro la cassa spia se possibile (se siete dotati di almeno 2 casse spia sul palco cantate stando in mezzo tra le 2, è vero che sono basse ma anche queste non permettono di mostrarvi nella vostra interezza e vi limitano se pensate di inginocchiarvi, sedervi ecc...)

Buona regola quindi avere in mente la traiettoria che tutto il pubblico disegna con gli occhi per guardarvi e sgombrare il palco da tutto ciò che rientra in questo cono, NON LASCIATEVI RUBARE LA SCENA DA DEGLI OGGETTI! ;-)

Date una occhiata alla foto qui sotto per capire qual'è l'area nella quale è preferibile togliere ogni ostacolo visivo.

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sabato 11 maggio 2013

Ansia VS Presenza scenica 4: Gli altri


Prendere coscienza che non si è soli sul palco (se si canta in gruppo)

Nonostante possa essere fonte di grande rassicurazione e abbattimento di ansia spesso si ignora il fatto che, stando sul palco con altri cantanti o musicisti, si può interagire dandosi coraggio l’un l’altro e creando un interplay molto bello da vedere per il pubblico.
Purtroppo questo è un aspetto che non dipende completamente da noi ma anche da chi ci circonda, le dinamiche di gruppo si formano e si consolidano provando e suonando assieme, ma questo non ci vieta di ricercare comunque quello scambio di energia che entra in gioco quando due musicisti sul palco si spalleggiano durante l’esibizione.
Anche qui mi raccomando usiamo il buon senso, esagerare è controproducente e fa sembrare i nostri sforzi ridicoli ma soprattutto la cosa più importante è saper riconoscere i momenti giusti.
Ecco qualche suggerimento per evitare di intralciare gli altri:        

  • Scegli il momento giusto per te (evita di deconcentrarsi in punti difficili della canzone)
  • Scegli il momento giusto per gli altri (interagite quando i musicisti o gli altri cantanti sono più liberi da vincoli tecnici e si possono lasciare andare di più)
  • Coinvolgere gli altri aspettando la loro risposta (come ho detto prima l’interplay scenico nasce da uno scambio di energie, è come un discorso quindi aspetta sempre che chi hai interpellato risponda alla tua sollecitazione senza scappare via altrimenti darai l’impressione di non tenerlo realmente in considerazione)
  • Lascia spazio agli altri (il cantante è sempre il frontman ma questo non gli da il diritto di diventare invadente anzi, lasciare lo spazio ai musicisti soprattutto durante le parti strumentali di poter avanzare ed essere loro di fronte al pubblico da al cantante un momento per riposarsi e la possibilità di essere ancora più d’impatto nel momento in cui tornerà a primeggiare sul palco)
  • Asseconda il pubblico (se il pubblico è particolarmente partecipe all’esecuzione di un musicista cogli l’occasione e presentalo senza indugi lasciandogli il giusto spazio)
  • Ricordati del batterista (purtroppo i batteristi vengono spesso coperti dai cantanti, ricordatevi di loro e spostatevi da davanti, se il palco è stretto potete sempre accucciarvi durante le parti più soft o sedervi nei momenti strumentali)
  • Equilibrio (Date a ognuno il giusto spazio e anche i più timidi inizieranno a reagire e renderanno tutta l’esibizione più coinvolgente)
  • Non escludete il pubblico (ricordate sempre che non siete in sala prove, anche se siete concentrati nell’interagire con un musicista non date le spalle al pubblico e non escludetelo per troppo tempo)

Quindi il suggerimento è vincete la vostra timidezza e andate verso gli altri con misura e con la costante percezione di quello che succede sul palco, siate equilibrati ed alternate sempre momenti di protagonismo a quelli di co-protagonismo a quelli in secondo piano. Le dinamiche durante i live non sono solo quelle musicali perché un concerto è una esperienza e ANCHE L'OCCHIO VUOLE LA SUA PARTE! ;-)


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venerdì 10 maggio 2013

Ansia VS Presenza scenica 3: Il corpo


    Prendere coscienza del proprio corpo




Altra ovvietà: per essere convincenti sul palco non basta esserlo solo vocalmente, bisogna esserlo anche col corpo cioè con la presenza scenica. Purtroppo però non basta essere semplicemente ... presenti!
Per non fare le belle statuine bisogna innanzi tutto conoscere il proprio corpo e sapere come risulta in situazioni e atteggiamenti diversi visto dal di fuori.
Ricordiamoci poi che l'ansia da concerto ci farà sentire come se pesassimo 1000kg per arto rendendo quasi impossibile ogni tipo di movimento.
Come ovviare a questo problema?

  • Cantare davanti ad uno specchio (durante la preparazione a casa non accontentatevi di riascoltarvi, ma guardatevi allo specchio e cercate di capire cosa va e cosa non va nel vostro modo di interpretare con il corpo la canzone. Per approfondimenti vedi: interpretare il corpo)
  • Riguardatele registrazioni delle vostre esibizioni con spirito critico ma sempre propositivo!
  • Parola d'ordine cambiare postura! (Questa non deve diventare un'ossessione ma anche l'occhio vuole essere mantenuto attento e se non cambiamo mai postura dall'inizio alla fine del concerto avremo come risultato che il pubblico si annoierà. Non serve essere degli acrobati a volte bastano movimenti veramente piccoli per destare curiosità per esempio: cambiare impugnatura del microfono, girare la testa verso un'altra direzione, fare dei passi e porsi in maniera frontale oppure laterale davanti al pubblico ecc...)
  • Alternare atteggiamento (Continuare a saltare come grilli per tutto lo spettacolo oltre a essere un po' ridicolo a mio avviso è anche del tutto inutile: l'occhio si abitua anche a quello! Dobbiamo sempre dare elementi di novità al pubblico, alterniamo quindi momenti di movimento con momenti più statici e solenni, così facendo trasmetteremo emozioni e chiavi di lettura dei brani diversi tra di loro.)
  • Siamo snodabili! (Ricordiamoci che le nostre articolazioni ci consentono di muovere indipendentemente braccia, gambe e testa! Questo significa che possiamo muovere queste parti una alla volta e non tutte assieme per forza sembrando delle piovre impazzite :-) Rivalutiamo i movimenti lenti e armoniosi, danno un'idea di calma e professionalità al pubblico e tengono sempre viva l'attenzione. Alziamo un braccio, facciamo mezzo passo in avanti, lasciamo cadere il braccio, spostiamoci di lato, stiamo fermi...)
  • Movimenti sicuri (Non c'è nulla di peggio che vedere un koala muoversi goffo sul palco :-) per questo prendere coscienza dello spazio prima del concerto è fondamentale)
  • Il microfono non ha la colla (Sia che teniate il microfono in mano ma soprattutto se usate l'asta non rimanete appiccicati o peggio appesi al microfono per tutta l'esibizione! Quando non cantate abbassate il braccio col microfono, rilassatevi! Rimanere col braccio ingessato è sinonimo di insicurezza. A maggior ragione se usate l'asta non avete bisogno di usare le mani per tenere il microfono, usatele piuttosto per aprirvi al pubblico e aiutarlo “visualizzare” quello che state cantando)
  • Rilassati stai "solo" cantando (le sorti del mondo non dipendono dalla tua esibizione, ricordati sempre che suonare in inglese si dice TO PLAY proprio come giocare! Allora gioca con la tua voce, con il pubblico e con il tuo corpo, torna bambino e divertiti senza che il giudizio di nessuno blocchi i tuoi movimenti)
  • Tremarella? Respira a fondo ed apriti poco per volta (la tremarella colpisce tutti o quasi soprattutto tra i non professionisti! Personalmente penso che per vincere questo effetto collaterale della paura bisogna respirare profondamente e ascoltarsi come se si stesse cantando per se stessi chiusi in casa. L'ascolto da sicurezza, apri gli occhi e continua ad ascoltarti la gente capirà questo sforzo e lo apprezzerà, da li in poi è tutto in discesa lasciati andare poco per volta. Preferisco questo approccio a quello “mi butto sul palco e spacco tutto!” per esperienza personale posso dire che spacco tutto + tremarella non danno un risultato spesso catastrofico :-) )
  • Guardare i grandi interpreti (guarda i tuoi artisti preferiti come stanno sul palco, che differenze trovi col tuo modo di fare? Cosa puoi rubare da loro? Cosa invece preferisci non fare e perché? Poniti sempre delle domande)

Che altro dire se non che si sta bene col proprio corpo in una determinata situazione più ci si viene a trovare, quindi l'esperienza vi verrà in soccorso rendendo il vostro modo di stare sul palco più sicuro, comunicativo e appropriato.
Non abbattetevi davanti ad una prima brutta esibizione datevi tempo e CERCATE SEMPRE DI IMMAGINARVI VISTI DAL DI FUORI! ;-)





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L'evoluzione del timbro vocale 9 CONCLUSIONE


IL CANTO SPERIMENTALE

Il culmine di ogni esibizione jazzistica è notoriamente l’improvvisazione nella quale il musicista o il cantante di turno danno dimostrazione della loro tecnica e profondità espressiva. Tutta l’evoluzione che il jazz ha vissuto dalla sua nascita ad oggi è stata accompagnata dall’evoluzione del concetto solistico da tutti i punti di vista: ritmico, melodico e armonico. Il fraseggio solistico degli anni ‘50 è diverso da quello che ha caratterizzato le decadi successive e, i musicisti più ferrati, riescono a inserire nelle loro improvvisazioni delle citazioni di quello che fu lo stile di un epoca a loro piacimento. Abbiamo visto che una cosa simile è possibile anche per l’aspetto vocale (per quanto questo sia più legato ai personaggi) che nel tempo ha subito una progressiva evoluzione verso l’intimismo timbrico, sia per una questione interpretativa che di crescente bisogno di agilità vocale nelle improvvisazioni in scat.
L’evoluzione dal linguaggio canoro jazz si è diramata successivamente anche verso zone meno consone per un cantante tradizionale caratterizzate da una ricerca di libertà improvvisativa maggiore.
In questo nuovo e nebuloso campo il timbro vocale diventa il mezzo principale di espressione, spesso le performance, soprattutto di voce sola, non si basano più sui parametri musicali ma solo ed unicamente sul bagaglio timbrico che il cantante può sfoderare. Così facendo si va a recuperare la primordialità della voce che ritrova, dopo essersi slegata dalla musica e dalla parola, tutta la sua potenza espressiva. Il legame tra parola e timbro è un ambito molto interessante da approfondire che sfocia prepotentemente nella psicologia. Generalmente si viene a creare una sorta di reazione inconscia davanti a determinate parole che obbligano l’esecutore a pronunciarle sempre in un determinato modo, con la stessa inflessione o timbro andando a danneggiare la comunicazione non verbale ossia emotiva.
Demetrio Stratos trasse conclusioni simili tramite l’osservazione della fase di lallazione della figlia neonata, ovvero si accorse che la bambina inizialmente giocava e sperimentava con la propria voce, ma poi la ricchezza delle sonorità vocali andavano perdute con l’acquisizione del linguaggio: «il bambino perde il suono per organizzare la parola». Questa osservazione di Stratos sarà il filo rosso che attraverserà per intero il suo percorso artistico e non solo.

Eliminando questa sorta di ricatto psicologico che la parola induce si vanno a recuperare colori timbrici inusuali legati spesso ad emozioni che difficilmente mostreremmo in pubblico ma non per questo da eliminare. In questi ambiti, definiti poi d’avanguardia o di musica contemporanea, si alternano proprio come negli standard jazz parti scritte e liberamente interpretate ad altre completamente improvvisate. I maggiori esponenti di questa che io definisco improvvisazione timbrica sono: Cathy Berberian, Meridith Monk, Demetrio Stratos e Diamanda Galas. L’elenco potrebbe allungarsi di molto ma ho preferito limitarmi ai nomi storici. Interessanti da sottolineare sono gli approcci con i quali i due nomi più famosi hanno intrapreso la loro ricerca vocale e stilistica.

Demetrio Stratos  (Alessandria d'Egitto, 22 aprile 1945  New York, 13 giugno 1979) per esempio ricercava nelle tecniche canore extraeuropee nuove vie per la produzione della fonazione e lo faceva in maniera scientifica tramite l’apprendimento di queste tecniche dai maestri locali. Interessante a livello improvvisativo fu la collaborazione con John Cage in particolare l’approccio vocale ai Mesostics.
I Mesostics sono delle sorte di partiture dove vengono indicate lettere scritte a caratteri, grandezze e posizioni diverse in modo da suscitare nell’interprete una sorta di tendenza interpretativa diversa in base alle loro forme. In queste performance Demetrio Stratos improvvisava l’uso del timbro sul testo dato andando a cercare nel bagaglio che le sue ricerche gli avevano consentito di accumulare.


Altro esempio di improvvisazione timbrica si può avere con Stripsody, una partitura dallo stile fumettistico dove interpretare non più solo delle lettere ma anche disegni, particolarmente famose furono le interpretazioni della sua compositrice Cathy Berberian  (Attleboro, 4 giugno 1925  Roma, 6 marzo 1983).



Meredith Monk (New York, 20 novembre 1942) è stata tra le prime grandi sperimentatrici vocali e improvvisatrici timbriche e il suo percorso, diversamente da quello di stampo più marcatamente scientifico-esplorativo di Stratos, è basato sulla ricerca di espressività artistica più che sulla tecnica vocale fine a se stessa. Ci sono emozioni, stati d'animo, visioni, per cui l'espressione linguistica le appare inappropriata, limitativa, a volte addirittura inesistente nel vocabolario di una lingua. Sensazioni e turbamenti che magari non conosciamo, perché estranei al nostro mondo o che forse abbiamo dimenticato, indaffarati nei corsi e ricorsi della nostra storia. Affascinata da simili congetture, decide di votare il suo intero percorso alla ricerca di un'espressione artistica in grado di rappresentare le trepidazioni dell'eternamente umano, scavando sempre più a fondo nella riesumazione degli strati più primitivi del nostro subconscio tramite la ricerca che venne definita di archeologia vocale.
La particolarità che distingue la sua attività è che viene trasferita da una condizione di individualità ad una di collettività, Meredith Monk spesso si esibisce e incide i suoi lavori con un Ensemble vocale dimostrando che il linguaggio vocale non necessita per forza dell’ausilio della parola per poter essere comprensibile.

I lati più oscuri e ancestrali della voce ci vengono, invece, offerti dall’arte performativa di Diamanda Galas (San Diego, 29 agosto 1955). Nessuno più di lei è riuscito a portare lo strumento naturale per eccellenza verso lande di tormentata espressività e lancinante compartecipazione. Se non è la cantante più dotata da un punto di vista strettamente tecnico (faccenda che a lei, per sua stessa ammissione, interessa ben poco, tanto da non sopportare che si parli dell’entità della sua estensione vocale) nessuno, con l’eccezione di Meredith Monk (la cui musica è comunque estremamente diversa, sia per forma sia per intenzionalità), ha saputo realizzare un linguaggio vocale-musicale tanto eclettico, di così ampio respiro, per un così alto numero di opere. I concetti di dolore, sofferenza, umiliazione, sia fisica che psicologica, saranno sempre al centro della poetica della cantante: è sua intenzione dare voce a coloro che di norma non hanno diritto ad esprimersi, vale a dire i reietti, i sconfitti, gli abbattuti, i feriti. Vuole dar voce o meglio timbro (e quindi identità) all’inascoltabile, a ciò che la società, per convenzione, paura e rigetto, rifiuta di ascoltare.



CONCLUSIONE

Arrivati a questo punto, dopo aver descritto il percorso timbrico vocale all’interno della storia del jazz, per quanto sia stato necessariamente semplificato e stilizzato, c’è una considerazione da fare. Mentre agli albori dello scat il cantante imitava il fraseggio, l’inflessione e lo stile degli strumenti musicali, con l’emancipazione dell’improvvisazione timbrica si è andati in senso opposto ovvero si è recuperata la consapevolezza della voce come primo vero strumento imitato da tutti gli altri. Così facendo si è sempre più ricercata una strada praticabile solo dallo strumento voce che, per costruzione, è lo strumento più duttile e più vicino all’animo umano in quanto ne esteriorizza direttamente le emozioni.
Non è detto che un approccio escluda l’altro, anzi, personalmente credo che più si esplora la tavolozza dei colori timbrici e più abbiamo la possibilità di esprimerci meglio, sia all’interno di una struttura musicale standard sia nell’improvvisazione più viscerale. Molti puristi criticano l’improvvisazione timbrica affermando che non sia più jazz, a questi vorrei ricordare che il jazz nasce prima di tutto come fenomeno sociale di incontro-scontro tra culture, etnie, religioni e musiche di popoli diversi dando ad ognuno la possibilità di emergere e far spiccare le proprie caratteristiche durante gli assoli, va da se che un genere così legato alla multiculturalità e alla libertà di azione non è limitabile a dei parametri stilistici fissi. Spesso invece si è prestato all’apertura nei confronti di nuove influenze finendo con inglobarle e ampliare i propri orizzonti fino all’avanguardia.
È proprio nel limite ormai invisibile tra jazz e avanguardia che il timbro vocale ritrova tutta la sua libertà espressiva pur non perdendo mai del tutto un senso dello stile e anche di riconoscenza nel confronti del linguaggio jazzistico più classico. Vorrei inoltre affermare per concludere che lo studio del timbro, quanto mai sottovalutato in ambito accademico, risulta la più fondamentale arma per la seduzione del pubblico del jazz che, contrariamente alle platee che frequentano ambienti musicali diversi, è abituato alla ricerca di novità ed ama farsi sorprendere dicendo, come nel famoso film “The jazz singer” (1928): "Aspettate un momento, aspettate un momento, non avete ancora sentito niente!"












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GRAZIE PER AVERMI SEGUITO IN QUESTO AFFASCINANTE VIAGGIO, DAL PROSSIMO POST SI CAMBIERÀ  DECISAMENTE ARGOMENTO: 
PRESENZA SCENICA COME GESTIRE IL CORPO E L'ANSIA SUL PALCO

a presto!!! :-)

lunedì 6 maggio 2013

L'evoluzione del timbro vocale 6


Nat King Cole: lo charm del sottovoce

DOMANDA: QUALE FU LA FURBERIA TECNICA USATA DA NAT KING COLE PER RENDERE AFFASCINANTI LE SUE INTERPRETAZIONI?

«La mia voce non ha nulla di cui andare fieri. Ha circa solo due ottave di estensione. Credo che sia il rauco, il rumore ansimante che piace ad alcuni». 
Questo diceva di sé Nat King Cole ed è strabiliante leggere una dichiarazione del genere fatta da un cantante su se stesso, ma ciò che Nat King Cole, nome d'arte di Nathaniel Adams Coles (Montgomery, 17 marzo 1919  Santa Monica, 15 febbraio 1965), aveva perfettamente capito di se stesso era che il valore assoluto della sua voce risiedeva proprio nel timbro. Fa impressione leggere quel «piace ad alcuni» se pensiamo che Cole fu uno dei cantanti più influenti della sua epoca, e non solo, andando a determinare un passo molto importante nel percorso che abbiamo definito verso l’intimismo timbrico.
Con Nat King Cole infatti facciamo un passo indietro ma due in avanti, se dal punto di vista prettamente sonoro la sua voce voleva essere calda e affascinante come si usava un tempo, dall’altro ha raggiunto questo obiettivo senza appesantirla in modo artefatto ma sfruttando al massimo la tecnologia microfonica e riducendo al minimo il volume della voce. «Aveva un modo tutto speciale di carezzare ogni parola», scrive Henry Pleasants, «di avvolgervi attorno alla propria voce. Così intima era questa identificazione con la musica implicita nella lingua inglese che è impossibile evocare il ricordo della sua voce senza quello delle parole che ad essa si accompagnano».


Nat King Cole pensava che il segreto del calore della voce risiedesse nel fumo. Era infatti un fumatore accanito di sigarette al mentolo e credeva che un consumo di almeno tre pacchetti al giorno avrebbe dato alla sua voce una tonalità più ricca. Arrivò al punto di fumarne diverse proprio prima di registrare, vizio che gli costò la vita dato che morì a soli 45 anni per un cancro ai polmoni. Il suo charme risiedeva, invece, nella confidenzialità della sua voce baritonale beige tenuta sempre a freno nel volume sfruttando la grande apertura della bocca per far fuoriuscire il suono al meglio senza la necessità quindi di spingere il fiato. Il risultato era un sussurro in mezza voce che catturava l’attenzione dell’ascoltatore e una volta ottenuta non la lasciava più andare tenendola sempre viva con continui ammiccamenti.
Come sottolineava Henry Pleasants, Nat ha oltretutto insegnato a curare a fondo la dizione, da sempre ignorata, per renderla plastica, sonora e musicale: parte integrante del quadro interpretativo. Non dimentichiamo poi l’intonazione: ricordiamo infatti la grandissima importanza e bravura anche del Nat King Cole pianista che contribuì a definire lo standard del trio jazz.




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RISPOSTA: NAT KING COLE CONSCIO DEI LIMITI DEL SUO STRUMENTO PUNTANDO TUTTO SULLA SUA CARATTERISTICA MIGLIORE OVVERO IL TIMBRO, NE SFRUTTO' TUTTE LE SFUMATURE RIDUCENDO DRASTICAMENTE IL VOLUME RISULTANDO UNA VOCE INTIMA E RASSICURANTE.

mercoledì 24 aprile 2013

L'evoluzione del timbro vocale 4


Frank Sinatra: The Voice

DOMANDA: QUAL'E' LA CARATTERISTA PIÙ IMPORTANTE DELLA VOCE DI SINATRA?

Pensando ad un percorso di evoluzione del timbro vocale in America era impossibile astenersi dal prendere in considerazione Frank Sinatra per quello che rappresenta nell’immaginario collettivo (il suo soprannome The Voice parla da solo) e per quello che era il suo bagaglio culturalmente: avendo origini italiane è riuscito ad innestarsi in un nuovo territorio di musica popolare portando con se parte del bagaglio timbrico della tradizione lirica italiana.
Francis Albert Sinatra (Hoboken 12 Dicembre 1915 – West Hollywood 14 Maggio 1998), figlio di genitori italiani emigrati negli Stati Uniti, appartiene a quella categoria di cantanti a metà tra i cantanti di musica popolare ed i cantanti jazz noti come crooner, termine traducibile in italiano con la definizione di cantante confidenziale. Il termine, in effetti, ci aiuta nell’analisi del nostro percorso riportando alla mente il fatto che, data l’invenzione del microfono, questi cantanti non furono più obbligati ad avere un suono imponente e per forza di cose standardizzato, ma potevano giocare con la loro voce facendo perno su tutte quelle qualità vocali più vicine al parlato e che comprendevano il sussurro, lo sbadiglio e così via.
Sinatra decise di voler fare il cantante dopo ave ascoltato Bing Crosby alla radio e ne fu sicuramente il degno erede portando con se parte di quel tipico timbro liricheggiante che la tradizione statunitense aveva ormai assorbito ma con un atteggiamento vocale molto più variopinto atto a colorare le sue interpretazioni rendendole estremamente convincenti. La grandezza di Sinatra effettivamente sta anche nel suo essere attore e uomo di spettacolo, fondendo tutte queste sue attitudini con il suo timbro caldissimo riesce a trasportare l’ascoltatore dal semplice ascolto di una canzone all’ascolto di una esperienza di vita effettivamente vissuta.



I legami di Frank Sinatra con il jazz si situano su due livelli distinti pur non essendo lui un improvvisatore di scat. Esiste, in primo luogo, un puro legame di fatto per via di alcuni suoi accompagnatori presi individualmente (per molto tempo pretese che Harry Edison fosse presente durante le sedute di incisione), delle orchestre scelte (Count Basie, Duke Ellington, Buddy Rich, Woody Erman), o ancora degli arrangiatori (Johnny Mandel, Billy May, Quinci Jones, Neal Hefti). In secondo luogo, nel modo stesso di concepire il canto: su tempo rapido o di mezzo Frank swinga e, nelle ballad in lui particolareggiate come in nessun altro, utilizza un feeling che è quasi quello dei grandi improvvisatori. Se capita non rifugge dal correre qualche rischio nel fraseggio o dall’introdurre qualche variante alla maniera d’uno strumentista.
Il timbro baritonale di Sinatra è pervaso da un gran numero di armoniche che, accompagnando le note fondamentali, garantiscono spessore e calore al suo timbro che viene poi spesso arricchito da attacchi vocali differenziati in base al tipo di interpretazione che voleva far arrivare. La laringe sempre lievemente abbassata gli consentiva uniformità nel timbro ma la mancanza di spinta del fiato evitava la sensazione di voce troppo ispirata alla lirica e il vibrato molto presente non era quasi mai sostenuto ma veniva lasciato sempre scendere in dinamica evitando di diventare troppo presente e opprimente. La caratteristica recitativa della sua voce emerge soprattutto quando decide di sporcare il suo timbro con venature di asprezza più marcate usando il filtro denominato twang dalla tecnica vocale Voicecraft (quindi il suddetto restringimento della laringe che conferisce punta e asprezza alla voce) e con l’introduzione massiccia del fiato, tutte caratteristiche comuni alla voce parlata che non fanno altro che rendere più attendibile la storia del brano di turno che Sinatra cantava.

Si può dire che forti erano ancora in Sinatra le fondamenta timbriche belcantistiche pur non avendo un suono squillante e usando stratagemmi resi possibili dai microfoni per differenziarsi dalla lirica. Rimane comunque un timbro unico soprattutto per il calore complessivo in tutta l’estensione e per la capacità affascinante di essere interpretativamente convincente.






RISPOSTA: LA SUA CAPACITA' DI ESSERE CONVINCENTE IN RELAZIONE AL TESTO CANTATO. VISIONARE IL VIDEO PER AVERE UN IDEA PIÙ CHIARA DI QUELLO CHE INTENDO NEL CONFRONTO TRA ROBBIE WILLIAMS E FRANK SINATRA. 

lunedì 1 aprile 2013

L'evoluzione del timbro vocale 2


Le 2 fasi del timbro Jazz: il timbro prima di Armstrong

DOMANDA: QUALE STRUMENTO PERMISE ALLA VOCE DEL CANTANTE MODERNO DI STACCARSI DALL'INFLUENZA BELCANTISTICA?

Tra i vari affluenti che, sfociando in un unico bacino, hanno dato vita all’oceano che oggi definiamo jazz il meno blasonato e considerato dai non addetti ai lavori è certamente la musica classica. Difficilmente si accosta il mondo severo dell’interpretazione delle volontà del compositore di musica classica con la libertà dell’improvvisazione jazz, soprattutto se non si tiene conto di quanto rigore sia invece necessario nella preparazione di un musicista jazz.
Se andiamo a parlare dell’aspetto vocale di questi due universi, musica classica e jazz, i paragoni sembrano ancora più improponibili, sensazione dettata da fattori pressoché evidenti: tralasciando il repertorio e il fatto che il cantante jazz spesso e volentieri improvvisa su di un brano cambiandone anche il tema, la caratteristica che più di tutte allontana questi mondi è proprio quella timbrica. Nel fare questo ragionamento ovviamente non si potrà parlare di tutte le vocalità che hanno composto il firmamento delle voci jazz ma dovremo attuare una sommaria ma comunque significativa semplificazione.
Il cantante lirico ha un timbro piuttosto standardizzato dovuto alla sua tecnica vocale che rende difficile per un non appassionato il riconoscimento di due diversi cantanti alle prese con la stessa aria, il cantante jazz invece enfatizza il proprio timbro cercando di far spiccare il più possibile la sua personalità. Questo è causato dalla cosiddetta formante del cantante ovvero la concentrazione degli armonici del cantante lirico nella fascia di frequenza attorno ai 3 kHz con lo scopo di occupare la gamma dello spettro sonoro non impegnato dall’orchestra e quindi di rendersi udibili con più facilità, un cantante jazz invece cercherà di distribuire le proprie armoniche su tutto lo spettro in modo da avere un timbro meno pervasivo e direzionato ma più avvolgente.
  


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Altre differenze che saltano subito all’orecchio risiedono sicuramente nel volume vocale, il cantante lirico per tradizione canta senza amplificazione e deve riuscire a farsi sentire fino alle ultime file del teatro e per far ciò dovrà ricorrere ad una serie di stratagemmi che elimineranno necessariamente la possibilità di usare mezzi interpretativi quali i respiri ed i sospiri; un cantante jazz invece predilige l’agilità andando quindi a ridurre il peso vocale e sfruttando spesso quei suoni sospirati che di fatto lo caratterizzano.
Nonostante sembrino due realtà in antitesi, all’inizio dello sviluppo del jazz erano profondamente legate in quanto l’America guardava con ammirazione all’Europa, e quindi anche all’Italia, per la sua grande tradizione musicale e, soprattutto, per le opere liriche.
La prima opera rappresentata negli Stati Uniti fu Sylvain di André Grétry il 22 maggio 1796 a New Orleans dopo la quale esplose una vera e propria febbre da teatro dell’opera e spesso le compagnie operistiche europee di successo facevano tournée negli Stati Uniti riscuotendo grandi successi e appassionando i cuori dei musicisti non solo per quel che riguarda l’aspetto armonico ma anche melodico. Di fatto, il break di tromba di Armstrong in New Orleans Stomp del 1927 per esempio non è altro che una sagace citazione dell’aria di Maddalena del quartetto del Rigoletto.
Certamente anche per quel che riguardava il canto l’influenza belcantistica fu enorme erigendosi a vero e proprio stilema dell’unico modo di cantare. Ecco quindi che non solo i professionisti lirici cantavano con la classica voce impostata ma anche la gente comune inglobava questo stile nella vita di tutti i giorni. Il risultato fu che i primi cantanti di musica popolare altro non erano che imitazioni timbriche dei cantanti lirici, le caratteristiche ricercate erano un suono rotondo sempre proiettato, chiaro dal sapore tenorile, pesante ma senza potenza dovuta alla mancanza di uno studio serio della tecnica lirica.
Tutto questo purtroppo portò alla creazione di generazioni di cantanti liricheggianti privi di personalità e stilisticamente freddi ai nostri orecchi. Quello che però fu il loro punto debole si rivelò essere la chiave di volta per uscire da questa situazione di sudditanza nei confronti della lirica, ovvero la mancanza di potenza.  Questa carenza portò ad affidare la propria voce al microfono, strumento inventato prima per usi di telefonia nel 1878 poi adattato alla registrazione sonora e, quando fu dotato di capacità non solo di trasmissione ma anche di amplificazione, per veicolare la voce dal vivo.
Ecco allora che la gabbia del volume fu finalmente aperta e i cantanti potevano essere liberi di dosare in maniera diversificata la propria voce senza per forza essere sempre declamatori ed impostati. Questo, tuttavia, non bastò perché la sudditanza al timbro classico era ancora molto forte e il canone di bello dell’epoca rispondeva sicuramente ancora agli stilemi lirici. Solo un vero e proprio terremoto avrebbe potuto rompere questo legame e far progredire il canto jazz finalmente per una propria strada a se stante: questo terremoto avvenne e portò il nome di Louis Armstrong.

continua...



RISPOSTA: LA VOCE DEL CANTANTE MODERNO SI STACCO' DALL'IDEALE BELCANTISTICO GRAZIE AL MICROFONO

venerdì 9 novembre 2012

Primi passi 3


Orientarsi tra le tecniche di canto

DOMANDA: Cos'ha in comune il mondo delle arti marziali (qui degnamente rappresentato da kung fu panda) e quello del canto? (la risposta a fine articolo)



In questi ultimi anni stiamo assistendo ad un proliferare di tantissime nuove tecniche (non di arti marziali) ma bensì di canto! Come possiamo scegliere quella più adatta a noi? Quali sono le più valide?

La tecnologia avanza e il metodo scientifico le sta veramente appresso quindi le scoperte che i ricercatori, anche in ambito vocale, stanno portando avanti negli ultimi anni sono considerevoli! 
Va da se che chi ha qualcosa di nuovo da dire cerca sempre di sfruttarlo nella maniera più proficua possibile imbastendo esercizi appositi per valorizzare e canalizzare le proprie scoperte in campo artistico.
Basta fare una rapida ricerca su internet per rendersi conto che ormai i metodi di canto con marchio registrato sono veramente una miriade: dai grandi nomi noti e che spesso organizzano convegni in tutto il mondo a metodi che portano il nome di un cantante sconosciuto ma che comunque si prodiga di dare consigli  su youtube, come capire quali sono i più seri?
Il mio consiglio è quello di iniziare proprio dai più famosi, solitamente sono quelli più seri ma comunque sono da conoscere per poter costruire anche un proprio senso critico riguardo ad una realtà già conosciuta dagli addetti ai lavori. L'errore che solitamente si compie è quello di farsi prendere dall'euforia della prima nuova scoperta e professare al mondo: "IL MIO METODO E' QUELLO GIUSTO E GLI ALTRI SONO SBAGLIATI!" Niente di più falso se pensiamo che l'efficacia di un metodo non si basa tanto sull'aspetto teorico ma su quello pratico e in questo campo non esiste un giusto assoluto, siamo tutti diversi e se un cantante si trova a suo agio con degli esercizi non è assolutamente detto che valga lo stesso anche per gli altri, anzi.
Bisogna semplicemente provarli, dedicarci tempo, a volte anche anni per assimilare gli insegnamenti più complicati, e poi cambiare per tornare magari tornare indietro più avanti nella vita. Ciò che non capiamo oggi potremmo capirlo meglio domani o dopodomani! 
Attenzione poi (soprattutto quando si va a frugare tra le tecniche meno famose) ai metodi-clone, ovvero a quelle metodologie copiate spudoratamente da altre ma dando nomi diversi, ce ne sono moltissime anche su carta stampata; a proposito dei libri sul canto posso dirvi che secondo la mia esperienza è impossibile capire gli esercizi e la linea di pensiero di un metodo senza avere l'esempio e la guida dell'insegnante autorizzato: illustrazioni, spiegazioni scritte, esempi audio e anche in dvd non sono mai completamente esaustivi per il semplice fatto che non sono interattivi, non possono vedere i nostri esempi e non ci sapranno guidare secondo le nostre specifiche personali. C'è da dire però che dare un'occhiata ad un libro può far aumentare la nostra curiosità ma questa deve sempre sfociare in qualcosa di più che la semplice lettura e ripetizione a pappagallo degli esercizi proposti dal manuale.

Diffidate da quei metodi che promettono stravolgimenti radicali della propria voce in pochissimo tempo! Tutto quello che ha a che fare con la voce è sempre un processo lento ma costante, per quanto vedere argomenti come per esempio il passaggio (argomento principe sul quale tutti i metodi vocali hanno la loro visione) possa dare una parvenza di progressione fulminea, ci si renderà presto conto che per portare veramente avanti quel parametro vocale bisognerà dedicarti tanto tempo.
Prendete ciò che è buono PER VOI da ogni metodo, fatevi la vostra scaletta di esercizi, FATEVI UN VOSTRO "METODO" (esattamente come fece il mitico Bruce Lee nelle arti marziali diventando il numero uno proprio perché unico!) che sia personale per le vostre esigenze e i vostri obbiettivi! Siate curiosi, fate domande, partecipate agli eventi e offritevi per fare degli esempi, tutti questi convegni e/o corsi sono a pagamento quindi sfruttateli fino infondo.

Ultima cosa che mi sento di dire, dato che questi corsi difficilmente hanno una continuità costante, è quella di rimanere sempre affiancati da un insegnante di fiducia che alla luce delle vostre scoperte sulle nuove tecniche possa riuscire a integrarle con un percorso più ampio, fatevi sempre accompagnare possibilmente da un insegnante che abbia già compiuto il vostro percorso.

Ricapitolando:
- Siate curiosi e buttatevi 
- Non siate frettolosi e dedicate tempo ad acquisire questi nuovi insegnamenti
- Non mettetevi i paraocchi e studiate con l'umiltà di chi sa che avrà sempre da imparare da fonti diverse
- Attenzione ai cloni
- Non accontentatevi dei manuali
- Fatevi accompagnare dal vostro insegnante.

RISPOSTA: la miriade di tecniche che queste discipline comprendono! 






martedì 6 novembre 2012

Primi passi

Scelta di un percorso


Ciao ragazzi oggi iniziamo ad affrontare un percorso a tappe parlando dei "PRIMI PASSI" che un aspirante cantante si trova a dover fare.
Non basta infatti aver passione per la musica ed il canto per potersi tuffare in questo mondo pieno di pericoli ma anche di possibilità (per chi le sa vedere e cogliere) ma bisogna anche sapersi destreggiare tra le varie scelte che si prospettano sapendo ciò a cui si va incontro; dato che nessuno è nato "imparato" eccomi qui a consigliarvi sul da farsi!

Dopo il classico periodo iniziale da autodidatta se il canto continua ancora ad affascinarti (cosa non scontata, non tutti abbiamo le stesse passioni) una cosa importantissima da fare è scegliere un buon insegnante!
Non date retta a quei cantanti che nelle loro interviste affermano gonfiandosi di orgoglio: "Non ho mai studiato canto, tutto quello che so fare l'ho imparato ascoltando i dischi di mio padre" oppure "Non serve a nulla studiare canto o si ha la voce o è meglio cambiare mestiere", queste sono frasi che distorcono la realtà in quanto (tranne in rarissimi casi in cui il talento naturale è veramente straripante) uno studente di canto avanza molto più velocemente e con molta più sicurezza (psico-fisica) di un autodidatta.
Chiarito ciò come sceglieremo il nostro insegnante?
Penso che prima di rispondere a questa domanda dovremo rispondere ad una ben più profonda ovvero: dove voglio puntare? (se la tua risposta è: voglio cantare per divertirmi ma senza volermi impegnare troppo... salta direttamente al prossimo articolo).

Infatti ci sono molti buoni insegnanti di canto ma se vuoi fare il cantante professionista il solo saper cantare non ti basterà, avrai sicuramente bisogno di saperti destreggiare tra teoria musicale, armonia, capacità di scrittura musicale e di testi ed infine una sufficiente padronanza di almeno uno strumento musicale!
Questo non deve sconfortarti perché capire fin da subito dove vuoi arrivare e guadagnare tempo sulle materie complementari del cantante-musicista professionale ti farà progredire molto più velocemente di chi intuisce queste cose più avanti nel suo percorso.
Probabilmente se cerchi questo tipo di approccio una scuola è più adatta dato che fornisce la possibilità di frequentare materie diverse con insegnanti diversi. Ma se non vuoi sobbarcarti subito di mensilità troppo cospicue troverai sicuramente qualche insegnante che ti saprà dare (almeno all'inizio) i rudimenti non solo del canto ma anche delle materie complementari! 
Quali sono i parametri su cui basarsi per scegliere l'insegnante di canto e/o la scuola di musica a cui rivolgersi sarà il tema del prossimo articolo.
continua...