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lunedì 13 maggio 2013

Ansia VS Presenza scenica 7: L'applauso

Prendere gli applausi con generosità e ringraziare



La fine di un qualcosa di bello è sempre un momento molto importante ed emozionante.
Lo è per voi che finalmente potete rilassarvi dopo una bella esibizione ma lo è soprattutto per il pubblico che diventa da parte passiva a parte attiva dimostrando la sua gratitudine nei vostri confronti con gli applausi.
Questo è il modo più spontaneo che il pubblico ha per dimostrare il gradimento dell'esibizione e per ringraziarvi di averli presi per mano e accompagnati nel viaggio emozionale che è un concerto.
Anzi vi dico di più, il pubblico vuole farsi ascoltare!
Non scappate al termine del live farete sentire il pubblico poco importante e avrete dato l'impressione di aver cantato per voi stessi, completate la serata godendovi gli applausi:

  • Ringraziare (sempre e comunque sia dopo una serata fantastica sia dopo una storta)
  • Smile! (dimostrate che apprezzate gli applausi, sorridete e rimanete in contatto col vostro pubblico)
  • Presentate gli altri (anche se l'avete fatto durante la serata cogliete l'occasione per spartire la gloria con i vostri amici musicisti e presentateli di nuovo, da una idea di forte coesione e non di protagonismo sfrenato)
  • Lasciate il palco con stile (rimanete nel personaggio fino a quando anche il vostro ultimo piede non sarà sceso dal palco continuando a dare impressione di autenticità e riconoscibilità. Quando il pubblico sa come identificarvi sa anche quando ha voglia di rivenirvi ad ascoltare)

Eccoci giunti alla fine del nostro percorso iniziato 7 punti fa con tanta paura, ansia e preoccupazione!
Spero che i miei consigli possano aiutarvi a migliorare nel rapporto col palco-pubblico-voi stessi ma che soprattutto vi permettano di godervi fino infondo l'esperienza della vostra voce dal vivo.
Quindi buttatevi e ributtatevi, poco alla volta queste cose diventeranno automatiche e non avrete più bisogno di pensarle!

Quanto fa 5+5? …. Ci avete pensato? … Ovviamente no (spero:-) ) 
anche il vostro rapporto col palco diventerà così naturale con la pratica e con questi 7 punti!


FATEMI SAPERE COME VI TROVATE COMMENTANDO QUESTI POST! 

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Ansia VS Presenza scenica 6: Recitare sempre

Si canta soprattutto quando non si canta

Questo affermazione che può sembrare paradossale in realtà porta dentro di se una grande verità.
All'interno di una esibizione live non possiamo mai permetterci di far cadere la tensione solo perché non stiamo cantando, il pubblico continuerà comunque a guardarci anche se siamo in un momento di pausa perché per lui il riferimento è sempre il cantante in quanto suonando uno strumento che tutti abbiamo (la voce) gode di una empatia particolare con la platea.
Pensateci un attimo, cosa pensereste se durante un film l'attore che ha appena finito di recitare la sua battuta si distrae facendosi i cavoli suoi uscendo dalla parte mentre aspetta che l'altro termini di dargli risposta?
Perché è esattamente questo che siamo quando ci esibiamo: degli attori! Interpretiamo noi stessi è vero ma ad un livello più alto ovvero da artisti.
Continuiamo ad osservarci dall'esterno e rimaniamo coerenti con la figura artistica che abbiamo deciso di interpretare dall'inizio del concerto, ecco 4 piccoli suggerimenti che però non escludono quello che ci siamo detti nei punti analizzati prima, li vanno solo a completare:

  • Passa la palla (Se vuoi far risaltare un altro musicista passagli la palla dell'attenzione, avvicinati a lui e fallo notare al pubblico che altrimenti sarà distratto sempre dalla tua figura di cantante)
  • Mantieni l'espressione (il volto è la parte più comunicativa del corpo umano, durante gli stacchi non distrarti, mantieni o modifica la tua espressione coerentemente con l'atmosfera del brano)
  • Non sentirti fuori luogo (il cantante non è mai fuori luogo! Se si sente fuori luogo significa che deve cambiare mestiere :-) scherzi a parte non imbarazziamoci se stiamo davanti a tutti senza cantare perché il nostro ruolo impone anche questo, manteniamo per primi viva la nostra attenzione per farla tenere alta al pubblico)
  • Non bere! (evita di bere durante le parti strumentali, farai percepire poca partecipazione al pubblico e al resto del gruppo, peggio ancora se invece stiamo cantando da soli! Cerchiamo di bere solo tra una canzone e l'altra)

Troppe volte i cantanti sembrano dei giocatori di ruolo, finito il loro turno si disinteressano di tutto riprendendo vigore solo quando ritocca di nuovo a loro! Impariamo a stare sul palco anche senza cantare e per farlo non c'è bisogno di essere dei ballerini.
In scena si è attori protagonisti sempre e, SE L'ATTORE RECITA MALE ROVINERA' TUTTO IL FILM! ;-)

Un grandissimo cantante-attore è certamente Bono degli U2 guardatelo (oltre che ascoltarlo) e capirete il perché




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domenica 12 maggio 2013

Ansia VS Presenza scenica 5: Libera la visuale

Eliminare ciò che sta tra chi canta e chi ascolta

Almeno che non stiate facendo musica da sottofondo dove non siete voi i protagonisti della situazione ricordatevi che il contatto diretto col pubblico è fondamentale!
Ogni cosa che ostruisce o anche semplicemente ostacola il contatto visivo tra il pubblico e la vostra figura (presa nella sua totalità) va a danneggiare la comunicazione emozionale.
Ci sono diversi errori che noto anche in situazioni professionali con grande visibilità come i talent show e che si potrebbero evitare con semplicissime accortezze.

  • Sposta il leggio (se proprio ne hai bisogno toglilo da davanti e spostalo di lato, fai in modo che non dia fastidio al pubblico che ti deve guardare e tienilo basso)
  • Sposta l'asta (se decidi di staccare il microfono dall'asta per dare un elemento di novità scenica ricordati di passarci davanti o di spostarla in modo che non dia fastidio al pubblico, non c'è nulla di più fastidioso di guardare un cantante con l'asta davanti alla faccia)
  • Non "subire" il cavo (elemento di enorme distrazione per il cantante è il cavo del microfono, non siate goffi e toglietelo con decisione da davanti ai vostri passi, se invece volete interagirci fatelo ma con sicurezza ricordando che comunque anche questo fattore va a interporsi tra voi ed il pubblico)
  • Non dietro la cassa spia se possibile (se siete dotati di almeno 2 casse spia sul palco cantate stando in mezzo tra le 2, è vero che sono basse ma anche queste non permettono di mostrarvi nella vostra interezza e vi limitano se pensate di inginocchiarvi, sedervi ecc...)

Buona regola quindi avere in mente la traiettoria che tutto il pubblico disegna con gli occhi per guardarvi e sgombrare il palco da tutto ciò che rientra in questo cono, NON LASCIATEVI RUBARE LA SCENA DA DEGLI OGGETTI! ;-)

Date una occhiata alla foto qui sotto per capire qual'è l'area nella quale è preferibile togliere ogni ostacolo visivo.

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sabato 11 maggio 2013

Ansia VS Presenza scenica 4: Gli altri


Prendere coscienza che non si è soli sul palco (se si canta in gruppo)

Nonostante possa essere fonte di grande rassicurazione e abbattimento di ansia spesso si ignora il fatto che, stando sul palco con altri cantanti o musicisti, si può interagire dandosi coraggio l’un l’altro e creando un interplay molto bello da vedere per il pubblico.
Purtroppo questo è un aspetto che non dipende completamente da noi ma anche da chi ci circonda, le dinamiche di gruppo si formano e si consolidano provando e suonando assieme, ma questo non ci vieta di ricercare comunque quello scambio di energia che entra in gioco quando due musicisti sul palco si spalleggiano durante l’esibizione.
Anche qui mi raccomando usiamo il buon senso, esagerare è controproducente e fa sembrare i nostri sforzi ridicoli ma soprattutto la cosa più importante è saper riconoscere i momenti giusti.
Ecco qualche suggerimento per evitare di intralciare gli altri:        

  • Scegli il momento giusto per te (evita di deconcentrarsi in punti difficili della canzone)
  • Scegli il momento giusto per gli altri (interagite quando i musicisti o gli altri cantanti sono più liberi da vincoli tecnici e si possono lasciare andare di più)
  • Coinvolgere gli altri aspettando la loro risposta (come ho detto prima l’interplay scenico nasce da uno scambio di energie, è come un discorso quindi aspetta sempre che chi hai interpellato risponda alla tua sollecitazione senza scappare via altrimenti darai l’impressione di non tenerlo realmente in considerazione)
  • Lascia spazio agli altri (il cantante è sempre il frontman ma questo non gli da il diritto di diventare invadente anzi, lasciare lo spazio ai musicisti soprattutto durante le parti strumentali di poter avanzare ed essere loro di fronte al pubblico da al cantante un momento per riposarsi e la possibilità di essere ancora più d’impatto nel momento in cui tornerà a primeggiare sul palco)
  • Asseconda il pubblico (se il pubblico è particolarmente partecipe all’esecuzione di un musicista cogli l’occasione e presentalo senza indugi lasciandogli il giusto spazio)
  • Ricordati del batterista (purtroppo i batteristi vengono spesso coperti dai cantanti, ricordatevi di loro e spostatevi da davanti, se il palco è stretto potete sempre accucciarvi durante le parti più soft o sedervi nei momenti strumentali)
  • Equilibrio (Date a ognuno il giusto spazio e anche i più timidi inizieranno a reagire e renderanno tutta l’esibizione più coinvolgente)
  • Non escludete il pubblico (ricordate sempre che non siete in sala prove, anche se siete concentrati nell’interagire con un musicista non date le spalle al pubblico e non escludetelo per troppo tempo)

Quindi il suggerimento è vincete la vostra timidezza e andate verso gli altri con misura e con la costante percezione di quello che succede sul palco, siate equilibrati ed alternate sempre momenti di protagonismo a quelli di co-protagonismo a quelli in secondo piano. Le dinamiche durante i live non sono solo quelle musicali perché un concerto è una esperienza e ANCHE L'OCCHIO VUOLE LA SUA PARTE! ;-)


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venerdì 10 maggio 2013

Ansia VS Presenza scenica 3: Il corpo


    Prendere coscienza del proprio corpo




Altra ovvietà: per essere convincenti sul palco non basta esserlo solo vocalmente, bisogna esserlo anche col corpo cioè con la presenza scenica. Purtroppo però non basta essere semplicemente ... presenti!
Per non fare le belle statuine bisogna innanzi tutto conoscere il proprio corpo e sapere come risulta in situazioni e atteggiamenti diversi visto dal di fuori.
Ricordiamoci poi che l'ansia da concerto ci farà sentire come se pesassimo 1000kg per arto rendendo quasi impossibile ogni tipo di movimento.
Come ovviare a questo problema?

  • Cantare davanti ad uno specchio (durante la preparazione a casa non accontentatevi di riascoltarvi, ma guardatevi allo specchio e cercate di capire cosa va e cosa non va nel vostro modo di interpretare con il corpo la canzone. Per approfondimenti vedi: interpretare il corpo)
  • Riguardatele registrazioni delle vostre esibizioni con spirito critico ma sempre propositivo!
  • Parola d'ordine cambiare postura! (Questa non deve diventare un'ossessione ma anche l'occhio vuole essere mantenuto attento e se non cambiamo mai postura dall'inizio alla fine del concerto avremo come risultato che il pubblico si annoierà. Non serve essere degli acrobati a volte bastano movimenti veramente piccoli per destare curiosità per esempio: cambiare impugnatura del microfono, girare la testa verso un'altra direzione, fare dei passi e porsi in maniera frontale oppure laterale davanti al pubblico ecc...)
  • Alternare atteggiamento (Continuare a saltare come grilli per tutto lo spettacolo oltre a essere un po' ridicolo a mio avviso è anche del tutto inutile: l'occhio si abitua anche a quello! Dobbiamo sempre dare elementi di novità al pubblico, alterniamo quindi momenti di movimento con momenti più statici e solenni, così facendo trasmetteremo emozioni e chiavi di lettura dei brani diversi tra di loro.)
  • Siamo snodabili! (Ricordiamoci che le nostre articolazioni ci consentono di muovere indipendentemente braccia, gambe e testa! Questo significa che possiamo muovere queste parti una alla volta e non tutte assieme per forza sembrando delle piovre impazzite :-) Rivalutiamo i movimenti lenti e armoniosi, danno un'idea di calma e professionalità al pubblico e tengono sempre viva l'attenzione. Alziamo un braccio, facciamo mezzo passo in avanti, lasciamo cadere il braccio, spostiamoci di lato, stiamo fermi...)
  • Movimenti sicuri (Non c'è nulla di peggio che vedere un koala muoversi goffo sul palco :-) per questo prendere coscienza dello spazio prima del concerto è fondamentale)
  • Il microfono non ha la colla (Sia che teniate il microfono in mano ma soprattutto se usate l'asta non rimanete appiccicati o peggio appesi al microfono per tutta l'esibizione! Quando non cantate abbassate il braccio col microfono, rilassatevi! Rimanere col braccio ingessato è sinonimo di insicurezza. A maggior ragione se usate l'asta non avete bisogno di usare le mani per tenere il microfono, usatele piuttosto per aprirvi al pubblico e aiutarlo “visualizzare” quello che state cantando)
  • Rilassati stai "solo" cantando (le sorti del mondo non dipendono dalla tua esibizione, ricordati sempre che suonare in inglese si dice TO PLAY proprio come giocare! Allora gioca con la tua voce, con il pubblico e con il tuo corpo, torna bambino e divertiti senza che il giudizio di nessuno blocchi i tuoi movimenti)
  • Tremarella? Respira a fondo ed apriti poco per volta (la tremarella colpisce tutti o quasi soprattutto tra i non professionisti! Personalmente penso che per vincere questo effetto collaterale della paura bisogna respirare profondamente e ascoltarsi come se si stesse cantando per se stessi chiusi in casa. L'ascolto da sicurezza, apri gli occhi e continua ad ascoltarti la gente capirà questo sforzo e lo apprezzerà, da li in poi è tutto in discesa lasciati andare poco per volta. Preferisco questo approccio a quello “mi butto sul palco e spacco tutto!” per esperienza personale posso dire che spacco tutto + tremarella non danno un risultato spesso catastrofico :-) )
  • Guardare i grandi interpreti (guarda i tuoi artisti preferiti come stanno sul palco, che differenze trovi col tuo modo di fare? Cosa puoi rubare da loro? Cosa invece preferisci non fare e perché? Poniti sempre delle domande)

Che altro dire se non che si sta bene col proprio corpo in una determinata situazione più ci si viene a trovare, quindi l'esperienza vi verrà in soccorso rendendo il vostro modo di stare sul palco più sicuro, comunicativo e appropriato.
Non abbattetevi davanti ad una prima brutta esibizione datevi tempo e CERCATE SEMPRE DI IMMAGINARVI VISTI DAL DI FUORI! ;-)





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Ansia VS Presenza scenica 2: Lo spazio

    PRENDERE COSCIENZA DELLO SPAZIO



Altro importantissimo aspetto da non sottovalutare per evitare di sentirsi goffi una volta saliti sul palco è esplorarlo anticipatamente.
Questo spesso è possibili solo durante i sound-check quindi teniamo bene a mente di focalizzare la nostra attenzione non solo su come sentiamo la musica e la nostra voce ma anche a dove siamo.
Anzi fondamentale è anche capire proprio l'interazione tra il punto del palco e la qualità del sonoro.

Aizziamo la nostra attenzione su questi particolari:
  • La disposizione dello spazio (come si sviluppa il palco, come sono disposti gli strumenti e le casse spie, prendi coscienza di tutto quello che ti sta davanti e dietro)
  • Il pavimento (dove passano i cavi e eventualmente districare quello del microfono)
  • Il soffitto (mi è capitato di vedere musicisti esaltati saltare e beccare in testa un lampadario... evitiamo! :-) Alza le braccia e osserva se hai libertà di azione anche verso l'alto)
  • Alza lo sguardo da terra (prendiamo confidenza con la platea anche se al momento è vuota, cerchiamo dei punti tattici dove rifugiare lo sguardo nei momenti di tensione che possono essere dei passaggi difficili della canzone senza dar l'impressione di astrarci per esempio chiudendo gli occhi per un lungo periodo)
  • Passeggia per il palco tenendo lo sguardo verso la platea e impadronisciti dello spazio

In questo modo andiamo a prendere confidenza con l'aspetto più importante dell'esibizione ovvero lo spazio. Prova a riflettere: se non ci fosse uno spazio adibito al concerto non ci sarebbe il concerto! Quindi vale la pena dedicargli attenzione.
Così facendo inoltre potremo non solo eliminare elementi di rischio oggettivi che ci indurrebbero all'immobilità o a qualche gaffe ma anche a sapersi rapportare con il palco conoscendone i punti e tracciando delle traiettorie sicure da percorrere durante il concerto.
Chi è impacciato nella gestione dello spazio per forza di cose farà salire la propria ansia durante l'esibizione sentendosi fuori luogo e inadeguato.

Esplorare il palco prima dell'esibizione è: UN PICCOLO PASSO PER UN CANTANTE, MA UN GRANDE BALZO PER L'ESIBIZIONE! ;-)


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Ansia VS Presenza scenica 1: Preparazione

ARRIVARE PREPARATI AL CONCERTO



Iniziamo da una ovvietà che ha a che fare con il lato psicologico della faccenda: per avere un approccio positivo con l'idea di doversi esibire bisogna avere la coscienza apposto!
L'ansia da concerto è un moltiplicatore di emozioni, se siamo preparati possiamo convogliarla in modo che ci dia la carica giusta per affrontare l'esecuzione, se invece noi per primi non siamo convinti della nostra preparazione queste emozioni saranno autodistruttive.
Con il termine preparazione intendo una lista di cose che vi vado a sottoporre:

  • Aver affrontato e risolto le problematiche tecnico-vocali presenti nel brano
  • Non aver dubbi sulla struttura e sulla tonalità del brano (mettersi nell'orecchio la prima nota del concerto prima di salire sul palco aiuta a combattere la confusione mentale che si abbatte sempre puntuale sulla prima nota della prima canzone del concerto!!!)
  • Conoscere il testo a memoria (essere legati ad un foglio può essere molto pericoloso soprattutto in esibizioni all'aperto e va certamente a minare la nostra efficacia di comunicazione emozionale col pubblico)
  • Sapere cosa vuole trasmettere il testo (non basta conoscere a memoria le parole, per saperle interpretare in maniera coerente sia col corpo che con la voce bisogna conoscere il messaggio di fondo del brano e per questo vi rimando al mio articolo sul sottotesto)
  • Essere soddisfatti del sound-check (spesso se non si è ad alti livelli questa è una utopia ma combattiamoci il più possibile!)
  • Lasciare i problemi personali fuori dall'esibizione (purtroppo non sempre quando dobbiamo cantare abbiamo veramente voglia di farlo ma cerchiamo di dare il massimo sempre concentrandoci sull'esibizione e abbandonando fuori i problemi della vita quotidiana)

Tutte queste premesse, se soddisfatte,ci tranquillizzano dandoci la sicurezza di aver fatto tutto quello che serviva per prepararci, ricordiamoci che in questi momenti saremo i più severi giudici di noi stessi e non perderemo occasione per rinfacciarci (ahimè proprio prima di salire sul palco o peggio ancora durante l'esibizione) le nostre varie mancanze.
Risolviamo questi punti in maniera meticolosa perché l'esibizione deve essere un momento di piacere in modo tale che il pubblico tragga gioia dalla nostra sicurezza. Sicurezza che solo la preparazione ci può dare, NON RIDUCETEVI ALL'ULTIMO MOMENTO ALTRIMENTI QUELLE NEL VIDEO QUI SOTTO POTREBBERO ESSERE LE CONSEGUENZE! :-D






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Ansia VS Presenza scenica: MENU


Ciao a tutti e benvenuti in questa nuova sezione del mio blog! :-)

Vorrei esaminare contemporaneamente 2 aspetti molto importanti per un cantante: l'ansia da concerto e la gestione del palco (presenza scenica).

Preferisco trattare contemporaneamente questi 2 aspetti perché li ritengo profondamente collegati!
Non è semplice parlare di argomenti come questi dato che ognuno di noi, avendo una personalità a sé stante, dovrebbe interagire con il palco in maniera diversa  però ho purtroppo notato che in molte esibizioni canore anche di buon livello c'è una scarsa presenza scenica di base.
Quindi, premettendo che non esistono delle regole valide per tutti, mi permetto di iniziare questa sorta di raccolta di consigli per aiutare i miei gentili lettori a rapportarsi con il pubblico, il palco e soprattutto con sé stessi nella maniera più efficace e meno ansiogena possibile.
Non pensate di essere negati solo perché prima di un'esibizione vi vedete passare tutta la vita davanti e desiderate ardentemente scrivere il vostro testamento prima che sia troppo tardi! :-)
Ci siamo passati tutti, con la pratica e l'esperienza si migliora sia l'approccio mentale che quello fisico.
Fatevi coraggio e ricordate che Jim Morrison all'inizio della sua carriera con i Doors cantava di spalle per la paura di dover affrontare lo sguardo del pubblico ma nonostante questo... cos'è diventato?

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L'evoluzione del timbro vocale 9 CONCLUSIONE


IL CANTO SPERIMENTALE

Il culmine di ogni esibizione jazzistica è notoriamente l’improvvisazione nella quale il musicista o il cantante di turno danno dimostrazione della loro tecnica e profondità espressiva. Tutta l’evoluzione che il jazz ha vissuto dalla sua nascita ad oggi è stata accompagnata dall’evoluzione del concetto solistico da tutti i punti di vista: ritmico, melodico e armonico. Il fraseggio solistico degli anni ‘50 è diverso da quello che ha caratterizzato le decadi successive e, i musicisti più ferrati, riescono a inserire nelle loro improvvisazioni delle citazioni di quello che fu lo stile di un epoca a loro piacimento. Abbiamo visto che una cosa simile è possibile anche per l’aspetto vocale (per quanto questo sia più legato ai personaggi) che nel tempo ha subito una progressiva evoluzione verso l’intimismo timbrico, sia per una questione interpretativa che di crescente bisogno di agilità vocale nelle improvvisazioni in scat.
L’evoluzione dal linguaggio canoro jazz si è diramata successivamente anche verso zone meno consone per un cantante tradizionale caratterizzate da una ricerca di libertà improvvisativa maggiore.
In questo nuovo e nebuloso campo il timbro vocale diventa il mezzo principale di espressione, spesso le performance, soprattutto di voce sola, non si basano più sui parametri musicali ma solo ed unicamente sul bagaglio timbrico che il cantante può sfoderare. Così facendo si va a recuperare la primordialità della voce che ritrova, dopo essersi slegata dalla musica e dalla parola, tutta la sua potenza espressiva. Il legame tra parola e timbro è un ambito molto interessante da approfondire che sfocia prepotentemente nella psicologia. Generalmente si viene a creare una sorta di reazione inconscia davanti a determinate parole che obbligano l’esecutore a pronunciarle sempre in un determinato modo, con la stessa inflessione o timbro andando a danneggiare la comunicazione non verbale ossia emotiva.
Demetrio Stratos trasse conclusioni simili tramite l’osservazione della fase di lallazione della figlia neonata, ovvero si accorse che la bambina inizialmente giocava e sperimentava con la propria voce, ma poi la ricchezza delle sonorità vocali andavano perdute con l’acquisizione del linguaggio: «il bambino perde il suono per organizzare la parola». Questa osservazione di Stratos sarà il filo rosso che attraverserà per intero il suo percorso artistico e non solo.

Eliminando questa sorta di ricatto psicologico che la parola induce si vanno a recuperare colori timbrici inusuali legati spesso ad emozioni che difficilmente mostreremmo in pubblico ma non per questo da eliminare. In questi ambiti, definiti poi d’avanguardia o di musica contemporanea, si alternano proprio come negli standard jazz parti scritte e liberamente interpretate ad altre completamente improvvisate. I maggiori esponenti di questa che io definisco improvvisazione timbrica sono: Cathy Berberian, Meridith Monk, Demetrio Stratos e Diamanda Galas. L’elenco potrebbe allungarsi di molto ma ho preferito limitarmi ai nomi storici. Interessanti da sottolineare sono gli approcci con i quali i due nomi più famosi hanno intrapreso la loro ricerca vocale e stilistica.

Demetrio Stratos  (Alessandria d'Egitto, 22 aprile 1945  New York, 13 giugno 1979) per esempio ricercava nelle tecniche canore extraeuropee nuove vie per la produzione della fonazione e lo faceva in maniera scientifica tramite l’apprendimento di queste tecniche dai maestri locali. Interessante a livello improvvisativo fu la collaborazione con John Cage in particolare l’approccio vocale ai Mesostics.
I Mesostics sono delle sorte di partiture dove vengono indicate lettere scritte a caratteri, grandezze e posizioni diverse in modo da suscitare nell’interprete una sorta di tendenza interpretativa diversa in base alle loro forme. In queste performance Demetrio Stratos improvvisava l’uso del timbro sul testo dato andando a cercare nel bagaglio che le sue ricerche gli avevano consentito di accumulare.


Altro esempio di improvvisazione timbrica si può avere con Stripsody, una partitura dallo stile fumettistico dove interpretare non più solo delle lettere ma anche disegni, particolarmente famose furono le interpretazioni della sua compositrice Cathy Berberian  (Attleboro, 4 giugno 1925  Roma, 6 marzo 1983).



Meredith Monk (New York, 20 novembre 1942) è stata tra le prime grandi sperimentatrici vocali e improvvisatrici timbriche e il suo percorso, diversamente da quello di stampo più marcatamente scientifico-esplorativo di Stratos, è basato sulla ricerca di espressività artistica più che sulla tecnica vocale fine a se stessa. Ci sono emozioni, stati d'animo, visioni, per cui l'espressione linguistica le appare inappropriata, limitativa, a volte addirittura inesistente nel vocabolario di una lingua. Sensazioni e turbamenti che magari non conosciamo, perché estranei al nostro mondo o che forse abbiamo dimenticato, indaffarati nei corsi e ricorsi della nostra storia. Affascinata da simili congetture, decide di votare il suo intero percorso alla ricerca di un'espressione artistica in grado di rappresentare le trepidazioni dell'eternamente umano, scavando sempre più a fondo nella riesumazione degli strati più primitivi del nostro subconscio tramite la ricerca che venne definita di archeologia vocale.
La particolarità che distingue la sua attività è che viene trasferita da una condizione di individualità ad una di collettività, Meredith Monk spesso si esibisce e incide i suoi lavori con un Ensemble vocale dimostrando che il linguaggio vocale non necessita per forza dell’ausilio della parola per poter essere comprensibile.

I lati più oscuri e ancestrali della voce ci vengono, invece, offerti dall’arte performativa di Diamanda Galas (San Diego, 29 agosto 1955). Nessuno più di lei è riuscito a portare lo strumento naturale per eccellenza verso lande di tormentata espressività e lancinante compartecipazione. Se non è la cantante più dotata da un punto di vista strettamente tecnico (faccenda che a lei, per sua stessa ammissione, interessa ben poco, tanto da non sopportare che si parli dell’entità della sua estensione vocale) nessuno, con l’eccezione di Meredith Monk (la cui musica è comunque estremamente diversa, sia per forma sia per intenzionalità), ha saputo realizzare un linguaggio vocale-musicale tanto eclettico, di così ampio respiro, per un così alto numero di opere. I concetti di dolore, sofferenza, umiliazione, sia fisica che psicologica, saranno sempre al centro della poetica della cantante: è sua intenzione dare voce a coloro che di norma non hanno diritto ad esprimersi, vale a dire i reietti, i sconfitti, gli abbattuti, i feriti. Vuole dar voce o meglio timbro (e quindi identità) all’inascoltabile, a ciò che la società, per convenzione, paura e rigetto, rifiuta di ascoltare.



CONCLUSIONE

Arrivati a questo punto, dopo aver descritto il percorso timbrico vocale all’interno della storia del jazz, per quanto sia stato necessariamente semplificato e stilizzato, c’è una considerazione da fare. Mentre agli albori dello scat il cantante imitava il fraseggio, l’inflessione e lo stile degli strumenti musicali, con l’emancipazione dell’improvvisazione timbrica si è andati in senso opposto ovvero si è recuperata la consapevolezza della voce come primo vero strumento imitato da tutti gli altri. Così facendo si è sempre più ricercata una strada praticabile solo dallo strumento voce che, per costruzione, è lo strumento più duttile e più vicino all’animo umano in quanto ne esteriorizza direttamente le emozioni.
Non è detto che un approccio escluda l’altro, anzi, personalmente credo che più si esplora la tavolozza dei colori timbrici e più abbiamo la possibilità di esprimerci meglio, sia all’interno di una struttura musicale standard sia nell’improvvisazione più viscerale. Molti puristi criticano l’improvvisazione timbrica affermando che non sia più jazz, a questi vorrei ricordare che il jazz nasce prima di tutto come fenomeno sociale di incontro-scontro tra culture, etnie, religioni e musiche di popoli diversi dando ad ognuno la possibilità di emergere e far spiccare le proprie caratteristiche durante gli assoli, va da se che un genere così legato alla multiculturalità e alla libertà di azione non è limitabile a dei parametri stilistici fissi. Spesso invece si è prestato all’apertura nei confronti di nuove influenze finendo con inglobarle e ampliare i propri orizzonti fino all’avanguardia.
È proprio nel limite ormai invisibile tra jazz e avanguardia che il timbro vocale ritrova tutta la sua libertà espressiva pur non perdendo mai del tutto un senso dello stile e anche di riconoscenza nel confronti del linguaggio jazzistico più classico. Vorrei inoltre affermare per concludere che lo studio del timbro, quanto mai sottovalutato in ambito accademico, risulta la più fondamentale arma per la seduzione del pubblico del jazz che, contrariamente alle platee che frequentano ambienti musicali diversi, è abituato alla ricerca di novità ed ama farsi sorprendere dicendo, come nel famoso film “The jazz singer” (1928): "Aspettate un momento, aspettate un momento, non avete ancora sentito niente!"












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GRAZIE PER AVERMI SEGUITO IN QUESTO AFFASCINANTE VIAGGIO, DAL PROSSIMO POST SI CAMBIERÀ  DECISAMENTE ARGOMENTO: 
PRESENZA SCENICA COME GESTIRE IL CORPO E L'ANSIA SUL PALCO

a presto!!! :-)

L'evoluzione del timbro vocale 8


LE VOCI ARCOBALENO

DOMANDA: IN CHE MODO LEON THOMAS HA AFFERMATO DI AVER SCOPERTA LA TECNICA DELLO JODEL?

Dopo questa rapida carrellata di personaggi ordinati in base al percorso che abbiamo denominato di intimizzazione del timbro vocale, prendiamo ora in considerazione alcuni esempi di cantanti che fanno dell’inafferrabilità timbrica la loro dote migliore. Questo, evidentemente, non significa che i prossimi casi analizzati non presenteranno un timbro di partenza specifico e personale come in quelli precedenti e come in ogni persona, ma sta a significare che prendendo in toto il significato di jazz come improvvisazione, hanno fatto la scelta di improvvisare non solo melodicamente e ritmicamente ma anche timbricamente. Potremmo individuare una sorta di percorso anche in questo capitolo, non più verso l’intimismo timbrico ma verso l’improvvisazione timbrica. Dopo il netto distacco conseguito nel tempo dal substrato lirico arriviamo adesso ad un completa e totale inserimento della voce nella musica jazz riscoprendolo ancora una volta e forse più che mai come lo strumento più malleabile e ricco di sfaccettature che più di tutti incarna le possibilità di variazione sonora elevandosi allo strumento potenzialmente principe dell’improvvisazione.

Mark Murphy
Noto ai più per le sue improvvisazioni in vocalese (improvvisazioni dal carattere strumentale ma dotate di un testo scritto) Mark Murphy (nato il 14 marzo 1932) è un pop-jazz crooner di rara e veemente flessibilità vocale.
La sua voce baritonale dalla grana spessa ed elegante gioca spesso con i fruscianti pianissimo, i vigorosi shouts e i falsetti vibranti che mimano gli shakes di tromba. Nell’ultima parte della sua carriera esaspera ancora di più le diversità timbriche della sua voce soprattutto durante le improvvisazioni miscelando sapientemente i suoi colori. Con un’ottima dose di swing riesce ad utilizzare suoni che se presi separatamente possono risultare fastidiosi ma che nel contesto rappresentano dei punti di climax perfettamente coerenti con il discorso improvvisativo da lui intrapreso.


Leon Thomas
Baritono poderoso e pieno di sfumature Amos Leon Thomas Jr (4 ottobre 1937 – 8 maggio 1999) ha realizzato una sintesi tra le diverse tradizioni del canto nero afroamericano miscelando la virile dolcezza dei moderni crooner agli effetti melodrammatici dei blues shouter. Si è fatto soprattutto notare per un’ipertrofia di scat che da una voce di petto e una voce di testa oscilla ossessivamente nello jodel riuscendo ad imbastire perfette frasi melodiche caratterizzate quindi da salti continui. Lo jodel, tecnica usata in varie parti del mondo nei canti tradizionali, rompe definitivamente il concetto di unità della voce spezzandola in due diverse personalità in una schizofrenia timbrica che segnerà da quel momento in poi la ricerca di tutti quegli sperimentatori vocali che si susseguiranno a lui. In una intervista ha dichiarato di aver scoperto questa tecnica dopo essere caduto e aver rotto i denti appena prima di un importante spettacolo.


Al Jarreau
Cantante jazz prima di essere una celebrità del music business, Al Jarreau, nome d'arte di Alwyn Lopez Jarreau (Milwaukee, 12 marzo 1940) produce un pop raffinato in linea con le mode, nonostante ciò, il suo approccio vocale non cede sempre al facile. La sua voce neutra, stimbrata e senza gran vibrato, si esprime mirabilmente nell’arte dello scat e delle percussioni vocali prediligendo d’altronde la poliritmia derivata dalla tradizione africana. È senz’altro dotato di una grande estensione e di una grande flessibilità che gli permettono repentini cambi di registro. Spesso usa la sua voce per imitare gli strumenti non soltanto dal punto di vista ritmico e melodico ma anche timbrico giocando durante gli scambi con uno strumento, o con l’altro a ricalcarne melodia e suono. A suo favore in questo campo gioca la naturale propensione alla nasalizzazione del suono che ben si compara con la tipica caratterista di penetranza dei fiati.







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RISPOSTA: CADENDO APPENA PRIMA DI UN CONCERTO E ROMPENDOSI DEI DENTI :-) 


giovedì 9 maggio 2013

L'evoluzione del timbro vocale 7


Chet Baker: la voce d’angelo del jazz

DOMANDA: QUAL'E' LA CARATTERISTICA TIMBRICA CHE SALTA ALL'ORECCHIO SENTENDO SUONARE E CANTARE CHET BAKER?

«Siamo di fronte a un trombettista che anche canta o ad un cantante che anche suona la tromba?», domanda legittima quella posta da Donald Vincent espressa nella presentazione della riedizione del 2010 del disco Chet Baker Sings. It Could Happen to You. In effetti ciò che avvertiamo ascoltando Chesney Henry «Chet» Baker Jr. (Yale, 23 dicembre 1929  Amsterdam, 13 maggio 1988) è un'inscindibilità, un legame forte, tra voce e tromba, due espressioni di un'unica personalità, diversa da quelle di qualsiasi altro jazzista conosciuto. «Perché il suo approccio allo scat», scrisse Bill Grauer già nelle note di copertina del 1958 «sta a metà strada tra il modo di suonare e il modo di cantare».
Diversamente da ciò che abbiamo già analizzato in Louis Armstrong, ovvero quel netto stacco stilistico e sonoro tra voce e strumento, la relazione tra canto e tromba in Chet Baker trova la sua coerenza proprio nel timbro. Entrambi i suoni infatti sono sommessi, sottili, quasi timidi ma sempre definiti e molto comunicativi. La sua voce d’angelo, come è stata definita probabilmente anche in antitesi con la sua personalità autodistruttiva (fatale gli sarà la sua dipendenza dall’eroina), rappresenta un violento salto in avanti nel nostro percorso di modernizzazione del timbro ed anche un vero punto d’arrivo per quel che riguarda la nostra analisi, sia la tromba che la voce emanano un calore tenue quasi da fiamma di candela e introducono una situazione di intimità. Una grande caratteristica dell’arte di Baker sicuramente fu la dedicabilità di ogni sua performance, sembrava infatti che Chet suonasse sempre e solo per te in quei precisi momenti.



Il suo timbro cristallino, che nel tempo andrà a modificarsi a causa degli abusi di droga che porteranno anche all’estrazione dei denti anteriori in seguito ad una presunta rissa con uno spacciatore conservando intatto il suo fascino ipnotico, quasi sempre privo di vibrato, chiaro e velato, data la sua abitudine di non aprire mai troppo la bocca, sono in completa antitesi con l’ormai vecchia tradizione belcantistica e si stacca nettamente anche dal mondo patinato dei crooner pieni di sovrastrutture. Baker divenne un caposcuola tra i cantanti jazz che trovarono in lui uno stile vocale nuovo e completamente inseribile all’interno del jazz senza sentire l’eco lontano di altre influenze e permettendo, a chi segue ancora oggi il suo esempio, di approfondire ancora di più la visione di una voce-strumento coerente con la propria sensibilità perché, probabilmente, è proprio per se stesso che Chet Baker suonava e cantava. C’è chi dice che lo facesse per guadagnare soldi per l’eroina, sconfinata è la discografia infatti di Baker anche con etichette e gruppi semisconosciuti, e chi, invece, sente nella sua voce la costante malinconia di chi, conscio del proprio disagio, sa che non potrà mai farne a meno. La sua era una flebile preghiera di raccomandazione per se stesso o forse era la voce del suo angelo. 



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RISPOSTA: LA CARATTERISTICA CHE SALTA SUBITO ALL'ORECCHIO E' L'ESTREMA COERENZA TIMBRICA TRA IL SUONO DELLA TROMBA E LA SUA VOCE,

lunedì 6 maggio 2013

L'evoluzione del timbro vocale 6


Nat King Cole: lo charm del sottovoce

DOMANDA: QUALE FU LA FURBERIA TECNICA USATA DA NAT KING COLE PER RENDERE AFFASCINANTI LE SUE INTERPRETAZIONI?

«La mia voce non ha nulla di cui andare fieri. Ha circa solo due ottave di estensione. Credo che sia il rauco, il rumore ansimante che piace ad alcuni». 
Questo diceva di sé Nat King Cole ed è strabiliante leggere una dichiarazione del genere fatta da un cantante su se stesso, ma ciò che Nat King Cole, nome d'arte di Nathaniel Adams Coles (Montgomery, 17 marzo 1919  Santa Monica, 15 febbraio 1965), aveva perfettamente capito di se stesso era che il valore assoluto della sua voce risiedeva proprio nel timbro. Fa impressione leggere quel «piace ad alcuni» se pensiamo che Cole fu uno dei cantanti più influenti della sua epoca, e non solo, andando a determinare un passo molto importante nel percorso che abbiamo definito verso l’intimismo timbrico.
Con Nat King Cole infatti facciamo un passo indietro ma due in avanti, se dal punto di vista prettamente sonoro la sua voce voleva essere calda e affascinante come si usava un tempo, dall’altro ha raggiunto questo obiettivo senza appesantirla in modo artefatto ma sfruttando al massimo la tecnologia microfonica e riducendo al minimo il volume della voce. «Aveva un modo tutto speciale di carezzare ogni parola», scrive Henry Pleasants, «di avvolgervi attorno alla propria voce. Così intima era questa identificazione con la musica implicita nella lingua inglese che è impossibile evocare il ricordo della sua voce senza quello delle parole che ad essa si accompagnano».


Nat King Cole pensava che il segreto del calore della voce risiedesse nel fumo. Era infatti un fumatore accanito di sigarette al mentolo e credeva che un consumo di almeno tre pacchetti al giorno avrebbe dato alla sua voce una tonalità più ricca. Arrivò al punto di fumarne diverse proprio prima di registrare, vizio che gli costò la vita dato che morì a soli 45 anni per un cancro ai polmoni. Il suo charme risiedeva, invece, nella confidenzialità della sua voce baritonale beige tenuta sempre a freno nel volume sfruttando la grande apertura della bocca per far fuoriuscire il suono al meglio senza la necessità quindi di spingere il fiato. Il risultato era un sussurro in mezza voce che catturava l’attenzione dell’ascoltatore e una volta ottenuta non la lasciava più andare tenendola sempre viva con continui ammiccamenti.
Come sottolineava Henry Pleasants, Nat ha oltretutto insegnato a curare a fondo la dizione, da sempre ignorata, per renderla plastica, sonora e musicale: parte integrante del quadro interpretativo. Non dimentichiamo poi l’intonazione: ricordiamo infatti la grandissima importanza e bravura anche del Nat King Cole pianista che contribuì a definire lo standard del trio jazz.




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RISPOSTA: NAT KING COLE CONSCIO DEI LIMITI DEL SUO STRUMENTO PUNTANDO TUTTO SULLA SUA CARATTERISTICA MIGLIORE OVVERO IL TIMBRO, NE SFRUTTO' TUTTE LE SFUMATURE RIDUCENDO DRASTICAMENTE IL VOLUME RISULTANDO UNA VOCE INTIMA E RASSICURANTE.