Le 2 fasi del timbro Jazz: il timbro prima di Armstrong
DOMANDA: QUALE STRUMENTO PERMISE ALLA VOCE DEL CANTANTE MODERNO DI STACCARSI DALL'INFLUENZA BELCANTISTICA?
Tra i vari affluenti che, sfociando in un unico bacino, hanno
dato vita all’oceano che oggi definiamo jazz il meno blasonato e considerato
dai non addetti ai lavori è certamente la musica classica. Difficilmente si
accosta il mondo severo dell’interpretazione delle volontà del compositore di
musica classica con la libertà dell’improvvisazione jazz, soprattutto se non si
tiene conto di quanto rigore sia invece necessario nella preparazione di un musicista
jazz.
Se andiamo a parlare dell’aspetto vocale di
questi due universi, musica classica e jazz, i paragoni sembrano ancora più
improponibili, sensazione dettata da fattori pressoché evidenti: tralasciando
il repertorio e il fatto che il cantante jazz spesso e volentieri improvvisa su
di un brano cambiandone anche il tema, la caratteristica che più di tutte
allontana questi mondi è proprio quella timbrica. Nel fare questo ragionamento
ovviamente non si potrà parlare di tutte le vocalità che hanno composto il
firmamento delle voci jazz ma dovremo attuare una sommaria ma comunque
significativa semplificazione.
Il cantante lirico ha un timbro piuttosto
standardizzato dovuto alla sua tecnica vocale che rende difficile per un non
appassionato il riconoscimento di due diversi cantanti alle prese con la stessa
aria, il cantante jazz invece enfatizza il proprio timbro cercando di far
spiccare il più possibile la sua personalità. Questo è causato dalla cosiddetta
formante del cantante ovvero la concentrazione degli armonici del cantante
lirico nella fascia di frequenza attorno ai 3 kHz con lo scopo di occupare la
gamma dello spettro sonoro non impegnato dall’orchestra e quindi di rendersi
udibili con più facilità, un cantante jazz invece cercherà di distribuire le
proprie armoniche su tutto lo spettro in modo da avere un timbro meno pervasivo
e direzionato ma più avvolgente.
Altre differenze che saltano subito all’orecchio risiedono
sicuramente nel volume vocale, il cantante lirico per tradizione canta senza
amplificazione e deve riuscire a farsi sentire fino alle ultime file del teatro
e per far ciò dovrà ricorrere ad una serie di stratagemmi che elimineranno
necessariamente la possibilità di usare mezzi interpretativi quali i respiri ed
i sospiri; un cantante jazz invece predilige l’agilità andando quindi a ridurre
il peso vocale e sfruttando spesso quei suoni sospirati che di fatto lo
caratterizzano.
Nonostante sembrino due realtà in antitesi, all’inizio dello
sviluppo del jazz erano profondamente legate in quanto l’America guardava con
ammirazione all’Europa, e quindi anche all’Italia, per la sua grande tradizione
musicale e, soprattutto, per le opere liriche.
La prima opera rappresentata negli Stati
Uniti fu Sylvain di André Grétry il
22 maggio 1796 a New Orleans dopo la quale esplose una vera e propria febbre da
teatro dell’opera e spesso le compagnie operistiche europee di successo
facevano tournée negli Stati Uniti riscuotendo grandi successi e appassionando
i cuori dei musicisti non solo per quel che riguarda l’aspetto armonico ma
anche melodico. Di fatto, il break di
tromba di Armstrong in New Orleans Stomp
del 1927 per esempio non è altro che una sagace citazione dell’aria di
Maddalena del quartetto del Rigoletto.
Certamente anche per quel che riguardava il
canto l’influenza belcantistica fu enorme erigendosi a vero e proprio stilema
dell’unico modo di cantare. Ecco quindi che non solo i professionisti lirici
cantavano con la classica voce impostata ma anche la gente comune inglobava
questo stile nella vita di tutti i giorni. Il risultato fu che i primi cantanti
di musica popolare altro non erano che imitazioni timbriche dei cantanti
lirici, le caratteristiche ricercate erano un suono rotondo sempre proiettato,
chiaro dal sapore tenorile, pesante ma senza potenza dovuta alla mancanza di
uno studio serio della tecnica lirica.
Tutto questo purtroppo portò alla creazione
di generazioni di cantanti liricheggianti
privi di personalità e stilisticamente freddi ai nostri orecchi. Quello che
però fu il loro punto debole si rivelò essere la chiave di volta per uscire da
questa situazione di sudditanza nei confronti della lirica, ovvero la mancanza
di potenza. Questa carenza portò ad
affidare la propria voce al microfono, strumento inventato prima per usi di
telefonia nel 1878 poi adattato alla registrazione sonora e, quando fu dotato
di capacità non solo di trasmissione ma anche di amplificazione, per veicolare
la voce dal vivo.
Ecco allora che la gabbia del volume fu
finalmente aperta e i cantanti potevano essere liberi di dosare in maniera
diversificata la propria voce senza per forza essere sempre declamatori ed
impostati. Questo, tuttavia, non bastò perché la sudditanza al timbro classico
era ancora molto forte e il canone di bello dell’epoca rispondeva sicuramente
ancora agli stilemi lirici. Solo un vero e proprio terremoto avrebbe potuto
rompere questo legame e far progredire il canto jazz finalmente per una propria
strada a se stante: questo terremoto avvenne e portò il nome di Louis Armstrong.
continua...
RISPOSTA: LA VOCE DEL CANTANTE MODERNO SI STACCO' DALL'IDEALE BELCANTISTICO GRAZIE AL MICROFONO
Ti seguo con grandissimo interesse, Michele!!!
RispondiEliminaStefano Sergi