Nat King Cole: lo charm del sottovoce
DOMANDA: QUALE FU LA FURBERIA TECNICA USATA DA NAT KING COLE PER RENDERE AFFASCINANTI LE SUE INTERPRETAZIONI?
«La mia voce non
ha nulla di cui andare fieri. Ha circa solo due ottave di estensione. Credo che
sia il rauco, il rumore ansimante che piace ad alcuni».
Questo diceva di sé Nat
King Cole ed è strabiliante leggere una dichiarazione del genere fatta da un
cantante su se stesso, ma ciò che Nat King Cole, nome
d'arte di Nathaniel Adams Coles (Montgomery, 17 marzo 1919 – Santa Monica, 15 febbraio 1965), aveva perfettamente
capito di se stesso era che il valore assoluto della sua voce risiedeva proprio
nel timbro. Fa impressione leggere quel «piace ad alcuni» se pensiamo che Cole
fu uno dei cantanti più influenti della sua epoca, e non solo, andando a
determinare un passo molto importante nel percorso che abbiamo definito verso
l’intimismo timbrico.
Con Nat King Cole infatti facciamo un passo indietro ma due in avanti, se
dal punto di vista prettamente sonoro la sua voce voleva essere calda e
affascinante come si usava un tempo, dall’altro ha raggiunto questo obiettivo
senza appesantirla in modo artefatto ma sfruttando al massimo la tecnologia
microfonica e riducendo al minimo il volume della voce. «Aveva un modo tutto
speciale di carezzare ogni parola», scrive Henry Pleasants, «di avvolgervi
attorno alla propria voce. Così intima era questa identificazione con la musica
implicita nella lingua inglese che è impossibile evocare il ricordo della sua
voce senza quello delle parole che ad essa si accompagnano».
Nat King Cole pensava che il segreto del calore della voce risiedesse nel
fumo. Era infatti un fumatore accanito di sigarette
al mentolo e credeva che un consumo di almeno tre pacchetti al giorno avrebbe
dato alla sua voce una tonalità più ricca. Arrivò al punto di fumarne diverse
proprio prima di registrare, vizio che gli costò la vita dato che morì a soli
45 anni per un cancro ai polmoni. Il suo charme
risiedeva, invece, nella confidenzialità della sua voce baritonale beige tenuta sempre a freno nel volume
sfruttando la grande apertura della bocca per far fuoriuscire il suono al
meglio senza la necessità quindi di spingere il fiato. Il risultato era un
sussurro in mezza voce che catturava l’attenzione dell’ascoltatore e una volta
ottenuta non la lasciava più andare tenendola sempre viva con continui
ammiccamenti.
Come
sottolineava Henry Pleasants, Nat ha oltretutto insegnato a curare a fondo la
dizione, da sempre ignorata, per renderla plastica, sonora e musicale: parte
integrante del quadro interpretativo. Non dimentichiamo poi l’intonazione: ricordiamo
infatti la grandissima importanza e bravura anche del Nat King Cole pianista
che contribuì a definire lo standard del trio jazz.
RISPOSTA: NAT KING COLE CONSCIO DEI LIMITI DEL SUO STRUMENTO PUNTANDO TUTTO SULLA SUA CARATTERISTICA MIGLIORE OVVERO IL TIMBRO, NE SFRUTTO' TUTTE LE SFUMATURE RIDUCENDO DRASTICAMENTE IL VOLUME RISULTANDO UNA VOCE INTIMA E RASSICURANTE.
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