IL
CANTO SPERIMENTALE
Il
culmine di ogni esibizione jazzistica è notoriamente
l’improvvisazione nella quale il musicista o il cantante di turno
danno dimostrazione della loro tecnica e profondità espressiva.
Tutta l’evoluzione che il jazz ha vissuto dalla sua nascita ad oggi
è stata accompagnata dall’evoluzione del concetto solistico da
tutti i punti di vista: ritmico, melodico e armonico. Il fraseggio
solistico degli anni ‘50 è diverso da quello che ha caratterizzato
le decadi successive e, i musicisti più ferrati, riescono a inserire
nelle loro improvvisazioni delle citazioni di quello che fu lo stile
di un epoca a loro piacimento. Abbiamo visto che una cosa simile è
possibile anche per l’aspetto vocale (per quanto questo sia più
legato ai personaggi) che nel tempo ha subito una progressiva
evoluzione verso l’intimismo timbrico, sia per una questione
interpretativa che di crescente bisogno di agilità vocale nelle
improvvisazioni in scat.
L’evoluzione dal linguaggio
canoro jazz si è diramata successivamente anche verso zone meno
consone per un cantante tradizionale caratterizzate da una ricerca di
libertà improvvisativa maggiore.
In
questo nuovo e nebuloso campo il timbro vocale diventa il mezzo
principale di espressione, spesso le performance,
soprattutto di voce sola, non si basano più sui parametri musicali
ma solo ed unicamente sul bagaglio timbrico che il cantante può
sfoderare. Così facendo si va a recuperare la primordialità della
voce che ritrova, dopo essersi slegata dalla musica e dalla parola,
tutta la sua potenza espressiva. Il legame tra parola e timbro è un
ambito molto interessante da approfondire che sfocia prepotentemente
nella psicologia. Generalmente si viene a creare una sorta di
reazione inconscia davanti a determinate parole che obbligano
l’esecutore a pronunciarle sempre in un determinato modo, con la
stessa inflessione o timbro andando a danneggiare la comunicazione
non verbale ossia emotiva.
Demetrio Stratos trasse conclusioni
simili tramite l’osservazione della fase di lallazione della
figlia neonata, ovvero si accorse che la bambina inizialmente giocava
e sperimentava con la propria voce, ma poi la ricchezza delle
sonorità vocali andavano perdute con l’acquisizione del
linguaggio: «il bambino perde il suono per organizzare la parola».
Questa osservazione di Stratos sarà il filo rosso che attraverserà
per intero il suo percorso artistico e non solo.
Eliminando
questa sorta di ricatto psicologico che la parola induce si vanno a
recuperare colori timbrici inusuali legati spesso ad emozioni che
difficilmente mostreremmo in pubblico ma non per questo da eliminare.
In questi ambiti, definiti poi d’avanguardia o di musica
contemporanea, si alternano proprio come negli standard
jazz parti scritte e liberamente interpretate ad altre completamente
improvvisate. I maggiori esponenti di questa che io definisco
improvvisazione timbrica sono: Cathy Berberian, Meridith Monk,
Demetrio Stratos e Diamanda Galas. L’elenco potrebbe allungarsi di
molto ma ho preferito limitarmi ai nomi storici. Interessanti da
sottolineare sono gli approcci con i quali i due nomi più famosi
hanno intrapreso la loro ricerca vocale e stilistica.
Demetrio
Stratos (Alessandria
d'Egitto, 22
aprile 1945 – New
York, 13
giugno 1979)
per esempio ricercava nelle tecniche canore extraeuropee nuove vie
per la produzione della fonazione e lo faceva in maniera scientifica
tramite l’apprendimento di queste tecniche dai maestri locali.
Interessante a livello improvvisativo fu la collaborazione con John
Cage in particolare l’approccio vocale ai Mesostics.
I Mesostics
sono delle sorte di partiture dove vengono indicate lettere scritte a
caratteri, grandezze e posizioni diverse in modo da suscitare
nell’interprete una sorta di tendenza interpretativa diversa in
base alle loro forme. In queste performance
Demetrio Stratos improvvisava l’uso del timbro sul testo dato
andando a cercare nel bagaglio che le sue ricerche gli avevano
consentito di accumulare.
Altro
esempio di improvvisazione timbrica si può avere con Stripsody, una
partitura dallo stile fumettistico dove interpretare non più solo
delle lettere ma anche disegni, particolarmente famose furono le
interpretazioni della sua compositrice Cathy Berberian (Attleboro, 4
giugno 1925 – Roma, 6
marzo 1983).
Meredith
Monk (New York, 20 novembre 1942)
è stata tra le prime grandi
sperimentatrici vocali e improvvisatrici timbriche e il suo percorso,
diversamente da quello di stampo più marcatamente
scientifico-esplorativo di Stratos, è basato sulla ricerca di
espressività artistica più che sulla tecnica vocale fine a se
stessa. Ci sono emozioni, stati d'animo, visioni, per cui
l'espressione linguistica le appare inappropriata, limitativa, a
volte addirittura inesistente nel vocabolario di una lingua.
Sensazioni e turbamenti che magari non conosciamo, perché estranei
al nostro mondo o che forse abbiamo dimenticato, indaffarati nei
corsi e ricorsi della nostra storia. Affascinata da simili
congetture, decide di votare il suo intero percorso alla ricerca di
un'espressione artistica in grado di rappresentare le trepidazioni
dell'eternamente umano, scavando sempre più a fondo nella
riesumazione degli strati più primitivi del nostro subconscio
tramite la ricerca che venne definita di archeologia vocale.
La particolarità che distingue la
sua attività è che viene trasferita da una condizione di
individualità ad una di collettività, Meredith Monk spesso si
esibisce e incide i suoi lavori con un Ensemble vocale dimostrando
che il linguaggio vocale non necessita per forza dell’ausilio della
parola per poter essere comprensibile.
I
lati più oscuri e ancestrali della voce ci vengono, invece, offerti
dall’arte performativa di Diamanda Galas (San Diego, 29 agosto
1955). Nessuno più di lei è riuscito a portare lo strumento
naturale per eccellenza verso lande di tormentata espressività e
lancinante compartecipazione. Se non è la cantante più dotata da un
punto di vista strettamente tecnico (faccenda che a lei, per sua
stessa ammissione, interessa ben poco, tanto da non sopportare che si
parli dell’entità della sua estensione vocale) nessuno, con
l’eccezione di Meredith Monk (la cui musica è comunque
estremamente diversa, sia per forma sia per intenzionalità), ha
saputo realizzare un linguaggio vocale-musicale tanto eclettico, di
così ampio respiro, per un così alto numero di opere. I concetti di
dolore, sofferenza, umiliazione, sia fisica che psicologica, saranno
sempre al centro della poetica della cantante: è sua intenzione dare
voce a coloro che di norma non hanno diritto ad esprimersi, vale a
dire i reietti, i sconfitti, gli abbattuti, i feriti. Vuole dar voce
o meglio timbro (e quindi identità) all’inascoltabile, a ciò che
la società, per convenzione, paura e rigetto, rifiuta di ascoltare.
CONCLUSIONE
Arrivati
a questo punto, dopo aver descritto il percorso timbrico vocale
all’interno della storia del jazz, per quanto sia stato
necessariamente semplificato e stilizzato, c’è una considerazione
da fare. Mentre agli albori dello scat
il cantante imitava il fraseggio, l’inflessione e lo stile degli
strumenti musicali, con l’emancipazione dell’improvvisazione
timbrica si è andati in senso opposto ovvero si è recuperata la
consapevolezza della voce come primo vero strumento imitato da tutti
gli altri. Così facendo si è sempre più ricercata una strada
praticabile solo dallo strumento voce che, per costruzione, è lo
strumento più duttile e più vicino all’animo umano in quanto ne
esteriorizza direttamente le emozioni.
Non è detto che un approccio
escluda l’altro, anzi, personalmente credo che più si esplora la
tavolozza dei colori timbrici e più abbiamo la possibilità di
esprimerci meglio, sia all’interno di una struttura musicale
standard
sia nell’improvvisazione più viscerale. Molti puristi criticano
l’improvvisazione timbrica affermando che non sia più jazz, a
questi vorrei ricordare che il jazz nasce prima di tutto come
fenomeno sociale di incontro-scontro tra culture, etnie, religioni e
musiche di popoli diversi dando ad ognuno la possibilità di emergere
e far spiccare le proprie caratteristiche durante gli assoli, va da
se che un genere così legato alla multiculturalità e alla libertà
di azione non è limitabile a dei parametri stilistici fissi. Spesso
invece si è prestato all’apertura nei confronti di nuove influenze
finendo con inglobarle e ampliare i propri orizzonti fino
all’avanguardia.
È proprio nel limite ormai
invisibile tra jazz e avanguardia che il timbro vocale ritrova tutta
la sua libertà espressiva pur non perdendo mai del tutto un senso
dello stile e anche di riconoscenza nel confronti del linguaggio
jazzistico più classico. Vorrei inoltre affermare per concludere che
lo studio del timbro, quanto mai sottovalutato in ambito accademico,
risulta la più fondamentale arma per la seduzione del pubblico del
jazz che, contrariamente alle platee che frequentano ambienti
musicali diversi, è abituato alla ricerca di novità ed ama farsi
sorprendere dicendo, come nel famoso film “The jazz singer”
(1928): "Aspettate
un momento, aspettate un momento, non avete ancora sentito niente!"
GRAZIE PER AVERMI SEGUITO IN QUESTO AFFASCINANTE VIAGGIO, DAL PROSSIMO POST SI CAMBIERÀ DECISAMENTE ARGOMENTO:
PRESENZA SCENICA COME GESTIRE IL CORPO E L'ANSIA SUL PALCO
a presto!!! :-)
Bellissimo come sempre, Michele!! Notevoli i contributi video!
RispondiEliminaStefano Sergi
Grazie a te Sergio! Mi raccomando condividilo e consiglialo ai tuoi colleghi canterini ;) ciao!
EliminaDemetriou E' veramente notevole.
RispondiEliminaE' perchè quelli come lui non muoiono mai veramente ...
Stefano Sergi