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venerdì 10 maggio 2013

L'evoluzione del timbro vocale 8


LE VOCI ARCOBALENO

DOMANDA: IN CHE MODO LEON THOMAS HA AFFERMATO DI AVER SCOPERTA LA TECNICA DELLO JODEL?

Dopo questa rapida carrellata di personaggi ordinati in base al percorso che abbiamo denominato di intimizzazione del timbro vocale, prendiamo ora in considerazione alcuni esempi di cantanti che fanno dell’inafferrabilità timbrica la loro dote migliore. Questo, evidentemente, non significa che i prossimi casi analizzati non presenteranno un timbro di partenza specifico e personale come in quelli precedenti e come in ogni persona, ma sta a significare che prendendo in toto il significato di jazz come improvvisazione, hanno fatto la scelta di improvvisare non solo melodicamente e ritmicamente ma anche timbricamente. Potremmo individuare una sorta di percorso anche in questo capitolo, non più verso l’intimismo timbrico ma verso l’improvvisazione timbrica. Dopo il netto distacco conseguito nel tempo dal substrato lirico arriviamo adesso ad un completa e totale inserimento della voce nella musica jazz riscoprendolo ancora una volta e forse più che mai come lo strumento più malleabile e ricco di sfaccettature che più di tutti incarna le possibilità di variazione sonora elevandosi allo strumento potenzialmente principe dell’improvvisazione.

Mark Murphy
Noto ai più per le sue improvvisazioni in vocalese (improvvisazioni dal carattere strumentale ma dotate di un testo scritto) Mark Murphy (nato il 14 marzo 1932) è un pop-jazz crooner di rara e veemente flessibilità vocale.
La sua voce baritonale dalla grana spessa ed elegante gioca spesso con i fruscianti pianissimo, i vigorosi shouts e i falsetti vibranti che mimano gli shakes di tromba. Nell’ultima parte della sua carriera esaspera ancora di più le diversità timbriche della sua voce soprattutto durante le improvvisazioni miscelando sapientemente i suoi colori. Con un’ottima dose di swing riesce ad utilizzare suoni che se presi separatamente possono risultare fastidiosi ma che nel contesto rappresentano dei punti di climax perfettamente coerenti con il discorso improvvisativo da lui intrapreso.


Leon Thomas
Baritono poderoso e pieno di sfumature Amos Leon Thomas Jr (4 ottobre 1937 – 8 maggio 1999) ha realizzato una sintesi tra le diverse tradizioni del canto nero afroamericano miscelando la virile dolcezza dei moderni crooner agli effetti melodrammatici dei blues shouter. Si è fatto soprattutto notare per un’ipertrofia di scat che da una voce di petto e una voce di testa oscilla ossessivamente nello jodel riuscendo ad imbastire perfette frasi melodiche caratterizzate quindi da salti continui. Lo jodel, tecnica usata in varie parti del mondo nei canti tradizionali, rompe definitivamente il concetto di unità della voce spezzandola in due diverse personalità in una schizofrenia timbrica che segnerà da quel momento in poi la ricerca di tutti quegli sperimentatori vocali che si susseguiranno a lui. In una intervista ha dichiarato di aver scoperto questa tecnica dopo essere caduto e aver rotto i denti appena prima di un importante spettacolo.


Al Jarreau
Cantante jazz prima di essere una celebrità del music business, Al Jarreau, nome d'arte di Alwyn Lopez Jarreau (Milwaukee, 12 marzo 1940) produce un pop raffinato in linea con le mode, nonostante ciò, il suo approccio vocale non cede sempre al facile. La sua voce neutra, stimbrata e senza gran vibrato, si esprime mirabilmente nell’arte dello scat e delle percussioni vocali prediligendo d’altronde la poliritmia derivata dalla tradizione africana. È senz’altro dotato di una grande estensione e di una grande flessibilità che gli permettono repentini cambi di registro. Spesso usa la sua voce per imitare gli strumenti non soltanto dal punto di vista ritmico e melodico ma anche timbrico giocando durante gli scambi con uno strumento, o con l’altro a ricalcarne melodia e suono. A suo favore in questo campo gioca la naturale propensione alla nasalizzazione del suono che ben si compara con la tipica caratterista di penetranza dei fiati.







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RISPOSTA: CADENDO APPENA PRIMA DI UN CONCERTO E ROMPENDOSI DEI DENTI :-) 


giovedì 9 maggio 2013

L'evoluzione del timbro vocale 7


Chet Baker: la voce d’angelo del jazz

DOMANDA: QUAL'E' LA CARATTERISTICA TIMBRICA CHE SALTA ALL'ORECCHIO SENTENDO SUONARE E CANTARE CHET BAKER?

«Siamo di fronte a un trombettista che anche canta o ad un cantante che anche suona la tromba?», domanda legittima quella posta da Donald Vincent espressa nella presentazione della riedizione del 2010 del disco Chet Baker Sings. It Could Happen to You. In effetti ciò che avvertiamo ascoltando Chesney Henry «Chet» Baker Jr. (Yale, 23 dicembre 1929  Amsterdam, 13 maggio 1988) è un'inscindibilità, un legame forte, tra voce e tromba, due espressioni di un'unica personalità, diversa da quelle di qualsiasi altro jazzista conosciuto. «Perché il suo approccio allo scat», scrisse Bill Grauer già nelle note di copertina del 1958 «sta a metà strada tra il modo di suonare e il modo di cantare».
Diversamente da ciò che abbiamo già analizzato in Louis Armstrong, ovvero quel netto stacco stilistico e sonoro tra voce e strumento, la relazione tra canto e tromba in Chet Baker trova la sua coerenza proprio nel timbro. Entrambi i suoni infatti sono sommessi, sottili, quasi timidi ma sempre definiti e molto comunicativi. La sua voce d’angelo, come è stata definita probabilmente anche in antitesi con la sua personalità autodistruttiva (fatale gli sarà la sua dipendenza dall’eroina), rappresenta un violento salto in avanti nel nostro percorso di modernizzazione del timbro ed anche un vero punto d’arrivo per quel che riguarda la nostra analisi, sia la tromba che la voce emanano un calore tenue quasi da fiamma di candela e introducono una situazione di intimità. Una grande caratteristica dell’arte di Baker sicuramente fu la dedicabilità di ogni sua performance, sembrava infatti che Chet suonasse sempre e solo per te in quei precisi momenti.



Il suo timbro cristallino, che nel tempo andrà a modificarsi a causa degli abusi di droga che porteranno anche all’estrazione dei denti anteriori in seguito ad una presunta rissa con uno spacciatore conservando intatto il suo fascino ipnotico, quasi sempre privo di vibrato, chiaro e velato, data la sua abitudine di non aprire mai troppo la bocca, sono in completa antitesi con l’ormai vecchia tradizione belcantistica e si stacca nettamente anche dal mondo patinato dei crooner pieni di sovrastrutture. Baker divenne un caposcuola tra i cantanti jazz che trovarono in lui uno stile vocale nuovo e completamente inseribile all’interno del jazz senza sentire l’eco lontano di altre influenze e permettendo, a chi segue ancora oggi il suo esempio, di approfondire ancora di più la visione di una voce-strumento coerente con la propria sensibilità perché, probabilmente, è proprio per se stesso che Chet Baker suonava e cantava. C’è chi dice che lo facesse per guadagnare soldi per l’eroina, sconfinata è la discografia infatti di Baker anche con etichette e gruppi semisconosciuti, e chi, invece, sente nella sua voce la costante malinconia di chi, conscio del proprio disagio, sa che non potrà mai farne a meno. La sua era una flebile preghiera di raccomandazione per se stesso o forse era la voce del suo angelo. 



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RISPOSTA: LA CARATTERISTICA CHE SALTA SUBITO ALL'ORECCHIO E' L'ESTREMA COERENZA TIMBRICA TRA IL SUONO DELLA TROMBA E LA SUA VOCE,