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giovedì 9 maggio 2013

L'evoluzione del timbro vocale 7


Chet Baker: la voce d’angelo del jazz

DOMANDA: QUAL'E' LA CARATTERISTICA TIMBRICA CHE SALTA ALL'ORECCHIO SENTENDO SUONARE E CANTARE CHET BAKER?

«Siamo di fronte a un trombettista che anche canta o ad un cantante che anche suona la tromba?», domanda legittima quella posta da Donald Vincent espressa nella presentazione della riedizione del 2010 del disco Chet Baker Sings. It Could Happen to You. In effetti ciò che avvertiamo ascoltando Chesney Henry «Chet» Baker Jr. (Yale, 23 dicembre 1929  Amsterdam, 13 maggio 1988) è un'inscindibilità, un legame forte, tra voce e tromba, due espressioni di un'unica personalità, diversa da quelle di qualsiasi altro jazzista conosciuto. «Perché il suo approccio allo scat», scrisse Bill Grauer già nelle note di copertina del 1958 «sta a metà strada tra il modo di suonare e il modo di cantare».
Diversamente da ciò che abbiamo già analizzato in Louis Armstrong, ovvero quel netto stacco stilistico e sonoro tra voce e strumento, la relazione tra canto e tromba in Chet Baker trova la sua coerenza proprio nel timbro. Entrambi i suoni infatti sono sommessi, sottili, quasi timidi ma sempre definiti e molto comunicativi. La sua voce d’angelo, come è stata definita probabilmente anche in antitesi con la sua personalità autodistruttiva (fatale gli sarà la sua dipendenza dall’eroina), rappresenta un violento salto in avanti nel nostro percorso di modernizzazione del timbro ed anche un vero punto d’arrivo per quel che riguarda la nostra analisi, sia la tromba che la voce emanano un calore tenue quasi da fiamma di candela e introducono una situazione di intimità. Una grande caratteristica dell’arte di Baker sicuramente fu la dedicabilità di ogni sua performance, sembrava infatti che Chet suonasse sempre e solo per te in quei precisi momenti.



Il suo timbro cristallino, che nel tempo andrà a modificarsi a causa degli abusi di droga che porteranno anche all’estrazione dei denti anteriori in seguito ad una presunta rissa con uno spacciatore conservando intatto il suo fascino ipnotico, quasi sempre privo di vibrato, chiaro e velato, data la sua abitudine di non aprire mai troppo la bocca, sono in completa antitesi con l’ormai vecchia tradizione belcantistica e si stacca nettamente anche dal mondo patinato dei crooner pieni di sovrastrutture. Baker divenne un caposcuola tra i cantanti jazz che trovarono in lui uno stile vocale nuovo e completamente inseribile all’interno del jazz senza sentire l’eco lontano di altre influenze e permettendo, a chi segue ancora oggi il suo esempio, di approfondire ancora di più la visione di una voce-strumento coerente con la propria sensibilità perché, probabilmente, è proprio per se stesso che Chet Baker suonava e cantava. C’è chi dice che lo facesse per guadagnare soldi per l’eroina, sconfinata è la discografia infatti di Baker anche con etichette e gruppi semisconosciuti, e chi, invece, sente nella sua voce la costante malinconia di chi, conscio del proprio disagio, sa che non potrà mai farne a meno. La sua era una flebile preghiera di raccomandazione per se stesso o forse era la voce del suo angelo. 



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RISPOSTA: LA CARATTERISTICA CHE SALTA SUBITO ALL'ORECCHIO E' L'ESTREMA COERENZA TIMBRICA TRA IL SUONO DELLA TROMBA E LA SUA VOCE,

lunedì 6 maggio 2013

L'evoluzione del timbro vocale 6


Nat King Cole: lo charm del sottovoce

DOMANDA: QUALE FU LA FURBERIA TECNICA USATA DA NAT KING COLE PER RENDERE AFFASCINANTI LE SUE INTERPRETAZIONI?

«La mia voce non ha nulla di cui andare fieri. Ha circa solo due ottave di estensione. Credo che sia il rauco, il rumore ansimante che piace ad alcuni». 
Questo diceva di sé Nat King Cole ed è strabiliante leggere una dichiarazione del genere fatta da un cantante su se stesso, ma ciò che Nat King Cole, nome d'arte di Nathaniel Adams Coles (Montgomery, 17 marzo 1919  Santa Monica, 15 febbraio 1965), aveva perfettamente capito di se stesso era che il valore assoluto della sua voce risiedeva proprio nel timbro. Fa impressione leggere quel «piace ad alcuni» se pensiamo che Cole fu uno dei cantanti più influenti della sua epoca, e non solo, andando a determinare un passo molto importante nel percorso che abbiamo definito verso l’intimismo timbrico.
Con Nat King Cole infatti facciamo un passo indietro ma due in avanti, se dal punto di vista prettamente sonoro la sua voce voleva essere calda e affascinante come si usava un tempo, dall’altro ha raggiunto questo obiettivo senza appesantirla in modo artefatto ma sfruttando al massimo la tecnologia microfonica e riducendo al minimo il volume della voce. «Aveva un modo tutto speciale di carezzare ogni parola», scrive Henry Pleasants, «di avvolgervi attorno alla propria voce. Così intima era questa identificazione con la musica implicita nella lingua inglese che è impossibile evocare il ricordo della sua voce senza quello delle parole che ad essa si accompagnano».


Nat King Cole pensava che il segreto del calore della voce risiedesse nel fumo. Era infatti un fumatore accanito di sigarette al mentolo e credeva che un consumo di almeno tre pacchetti al giorno avrebbe dato alla sua voce una tonalità più ricca. Arrivò al punto di fumarne diverse proprio prima di registrare, vizio che gli costò la vita dato che morì a soli 45 anni per un cancro ai polmoni. Il suo charme risiedeva, invece, nella confidenzialità della sua voce baritonale beige tenuta sempre a freno nel volume sfruttando la grande apertura della bocca per far fuoriuscire il suono al meglio senza la necessità quindi di spingere il fiato. Il risultato era un sussurro in mezza voce che catturava l’attenzione dell’ascoltatore e una volta ottenuta non la lasciava più andare tenendola sempre viva con continui ammiccamenti.
Come sottolineava Henry Pleasants, Nat ha oltretutto insegnato a curare a fondo la dizione, da sempre ignorata, per renderla plastica, sonora e musicale: parte integrante del quadro interpretativo. Non dimentichiamo poi l’intonazione: ricordiamo infatti la grandissima importanza e bravura anche del Nat King Cole pianista che contribuì a definire lo standard del trio jazz.




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RISPOSTA: NAT KING COLE CONSCIO DEI LIMITI DEL SUO STRUMENTO PUNTANDO TUTTO SULLA SUA CARATTERISTICA MIGLIORE OVVERO IL TIMBRO, NE SFRUTTO' TUTTE LE SFUMATURE RIDUCENDO DRASTICAMENTE IL VOLUME RISULTANDO UNA VOCE INTIMA E RASSICURANTE.

venerdì 9 novembre 2012

Primi passi 3


Orientarsi tra le tecniche di canto

DOMANDA: Cos'ha in comune il mondo delle arti marziali (qui degnamente rappresentato da kung fu panda) e quello del canto? (la risposta a fine articolo)



In questi ultimi anni stiamo assistendo ad un proliferare di tantissime nuove tecniche (non di arti marziali) ma bensì di canto! Come possiamo scegliere quella più adatta a noi? Quali sono le più valide?

La tecnologia avanza e il metodo scientifico le sta veramente appresso quindi le scoperte che i ricercatori, anche in ambito vocale, stanno portando avanti negli ultimi anni sono considerevoli! 
Va da se che chi ha qualcosa di nuovo da dire cerca sempre di sfruttarlo nella maniera più proficua possibile imbastendo esercizi appositi per valorizzare e canalizzare le proprie scoperte in campo artistico.
Basta fare una rapida ricerca su internet per rendersi conto che ormai i metodi di canto con marchio registrato sono veramente una miriade: dai grandi nomi noti e che spesso organizzano convegni in tutto il mondo a metodi che portano il nome di un cantante sconosciuto ma che comunque si prodiga di dare consigli  su youtube, come capire quali sono i più seri?
Il mio consiglio è quello di iniziare proprio dai più famosi, solitamente sono quelli più seri ma comunque sono da conoscere per poter costruire anche un proprio senso critico riguardo ad una realtà già conosciuta dagli addetti ai lavori. L'errore che solitamente si compie è quello di farsi prendere dall'euforia della prima nuova scoperta e professare al mondo: "IL MIO METODO E' QUELLO GIUSTO E GLI ALTRI SONO SBAGLIATI!" Niente di più falso se pensiamo che l'efficacia di un metodo non si basa tanto sull'aspetto teorico ma su quello pratico e in questo campo non esiste un giusto assoluto, siamo tutti diversi e se un cantante si trova a suo agio con degli esercizi non è assolutamente detto che valga lo stesso anche per gli altri, anzi.
Bisogna semplicemente provarli, dedicarci tempo, a volte anche anni per assimilare gli insegnamenti più complicati, e poi cambiare per tornare magari tornare indietro più avanti nella vita. Ciò che non capiamo oggi potremmo capirlo meglio domani o dopodomani! 
Attenzione poi (soprattutto quando si va a frugare tra le tecniche meno famose) ai metodi-clone, ovvero a quelle metodologie copiate spudoratamente da altre ma dando nomi diversi, ce ne sono moltissime anche su carta stampata; a proposito dei libri sul canto posso dirvi che secondo la mia esperienza è impossibile capire gli esercizi e la linea di pensiero di un metodo senza avere l'esempio e la guida dell'insegnante autorizzato: illustrazioni, spiegazioni scritte, esempi audio e anche in dvd non sono mai completamente esaustivi per il semplice fatto che non sono interattivi, non possono vedere i nostri esempi e non ci sapranno guidare secondo le nostre specifiche personali. C'è da dire però che dare un'occhiata ad un libro può far aumentare la nostra curiosità ma questa deve sempre sfociare in qualcosa di più che la semplice lettura e ripetizione a pappagallo degli esercizi proposti dal manuale.

Diffidate da quei metodi che promettono stravolgimenti radicali della propria voce in pochissimo tempo! Tutto quello che ha a che fare con la voce è sempre un processo lento ma costante, per quanto vedere argomenti come per esempio il passaggio (argomento principe sul quale tutti i metodi vocali hanno la loro visione) possa dare una parvenza di progressione fulminea, ci si renderà presto conto che per portare veramente avanti quel parametro vocale bisognerà dedicarti tanto tempo.
Prendete ciò che è buono PER VOI da ogni metodo, fatevi la vostra scaletta di esercizi, FATEVI UN VOSTRO "METODO" (esattamente come fece il mitico Bruce Lee nelle arti marziali diventando il numero uno proprio perché unico!) che sia personale per le vostre esigenze e i vostri obbiettivi! Siate curiosi, fate domande, partecipate agli eventi e offritevi per fare degli esempi, tutti questi convegni e/o corsi sono a pagamento quindi sfruttateli fino infondo.

Ultima cosa che mi sento di dire, dato che questi corsi difficilmente hanno una continuità costante, è quella di rimanere sempre affiancati da un insegnante di fiducia che alla luce delle vostre scoperte sulle nuove tecniche possa riuscire a integrarle con un percorso più ampio, fatevi sempre accompagnare possibilmente da un insegnante che abbia già compiuto il vostro percorso.

Ricapitolando:
- Siate curiosi e buttatevi 
- Non siate frettolosi e dedicate tempo ad acquisire questi nuovi insegnamenti
- Non mettetevi i paraocchi e studiate con l'umiltà di chi sa che avrà sempre da imparare da fonti diverse
- Attenzione ai cloni
- Non accontentatevi dei manuali
- Fatevi accompagnare dal vostro insegnante.

RISPOSTA: la miriade di tecniche che queste discipline comprendono! 






martedì 6 novembre 2012

Primi passi

Scelta di un percorso


Ciao ragazzi oggi iniziamo ad affrontare un percorso a tappe parlando dei "PRIMI PASSI" che un aspirante cantante si trova a dover fare.
Non basta infatti aver passione per la musica ed il canto per potersi tuffare in questo mondo pieno di pericoli ma anche di possibilità (per chi le sa vedere e cogliere) ma bisogna anche sapersi destreggiare tra le varie scelte che si prospettano sapendo ciò a cui si va incontro; dato che nessuno è nato "imparato" eccomi qui a consigliarvi sul da farsi!

Dopo il classico periodo iniziale da autodidatta se il canto continua ancora ad affascinarti (cosa non scontata, non tutti abbiamo le stesse passioni) una cosa importantissima da fare è scegliere un buon insegnante!
Non date retta a quei cantanti che nelle loro interviste affermano gonfiandosi di orgoglio: "Non ho mai studiato canto, tutto quello che so fare l'ho imparato ascoltando i dischi di mio padre" oppure "Non serve a nulla studiare canto o si ha la voce o è meglio cambiare mestiere", queste sono frasi che distorcono la realtà in quanto (tranne in rarissimi casi in cui il talento naturale è veramente straripante) uno studente di canto avanza molto più velocemente e con molta più sicurezza (psico-fisica) di un autodidatta.
Chiarito ciò come sceglieremo il nostro insegnante?
Penso che prima di rispondere a questa domanda dovremo rispondere ad una ben più profonda ovvero: dove voglio puntare? (se la tua risposta è: voglio cantare per divertirmi ma senza volermi impegnare troppo... salta direttamente al prossimo articolo).

Infatti ci sono molti buoni insegnanti di canto ma se vuoi fare il cantante professionista il solo saper cantare non ti basterà, avrai sicuramente bisogno di saperti destreggiare tra teoria musicale, armonia, capacità di scrittura musicale e di testi ed infine una sufficiente padronanza di almeno uno strumento musicale!
Questo non deve sconfortarti perché capire fin da subito dove vuoi arrivare e guadagnare tempo sulle materie complementari del cantante-musicista professionale ti farà progredire molto più velocemente di chi intuisce queste cose più avanti nel suo percorso.
Probabilmente se cerchi questo tipo di approccio una scuola è più adatta dato che fornisce la possibilità di frequentare materie diverse con insegnanti diversi. Ma se non vuoi sobbarcarti subito di mensilità troppo cospicue troverai sicuramente qualche insegnante che ti saprà dare (almeno all'inizio) i rudimenti non solo del canto ma anche delle materie complementari! 
Quali sono i parametri su cui basarsi per scegliere l'insegnante di canto e/o la scuola di musica a cui rivolgersi sarà il tema del prossimo articolo.
continua...





giovedì 1 novembre 2012

La "bella" voce 3


La voce musicale



Più che una questione vocale si tratta infatti di una predisposizione musicale.
Troppo spesso ci si dimentica di come il cantante dovrebbe essere anch'esso un musicista, si assiste sempre di più all'avanzamento di generazioni di cantanti musicalmente ignoranti (fatto che ormai a livello professionale è però impensabile e sbarra la strada a tante “belle voci”) mentre invece le doti che, a mio parere, bisognerebbe ricercare per capire se il canto può essere la nostra strada sono prima di tutto musicali, per esempio il senso del ritmo e l'intonazione (capacità sicuramente migliorabili con lo studio) ci possono dare delle buone indicazioni sul nostro punto di partenza e verosimilmente anche sugli obbiettivi che possiamo porci.
Chi nasce con un timbro avrà quello per tutta la vita?
Non precisamente, il timbro che riceviamo alla nascita e che modifichiamo nella fase della crescita conserverà sempre delle caratteristiche peculiari che proprio per questo lo differenziano dagli altri ma verrà modificato dalle nostre scelte di vita. Possiamo però anche arricchirlo tramite lo studio.
Si può incrementare il numero delle armoniche che compongono la nostra voce rendendola più calda e quindi dandoci un suono di base più coinvolgente e comunicativo, gli esercizi per la libertà del suono come gli esercizi a bocca chiusa, il muto, e soprattutto l'esplorazione del canto armonico ci danno una marcia in più facendoci partire in posizione avvantaggiata rispetto a chi, pur bravo tecnicamente, ha un suono “povero”.
Questa che sembra una contraddizione in realtà non è una regola assoluta infatti nell'essere cantante c'è molto più che la voce e molto più che la tecnica; sono proprio le eccezioni che danno nuova linfa all'arte, se Louis Armstrong non avesse sdoganato con la sua impostazione vocale “non proprio perfetta” tutti i cantanti moderni che gli sono succeduti dove saremmo ancora?





lunedì 29 ottobre 2012

La "bella" voce 2



Una voce unica


I grandi cantanti infatti sono quelli che non sono accostabili a nessuno tranne che a se stessi.
Alla luce di questa osservazione devo constatare che il principio di imitazione così importante inizialmente (in quanto ci permette di avere una o più figure di successo che ci accompagnano e ci stimolano nello studio) resti troppo spesso radicato anche quando un cantante dovrebbe avere il coraggio di tagliare il cordone ombelicale e ricercare una propria strada. Questo processo può essere spiazzante e rappresentare una svolta “pericolosa” nel proprio percorso perché ci si sente soli con la propria voce ed esposti al mondo, ma come si può crescere se non si accetta il rischio di proseguire la propria vita non più accompagnati dai genitori? Allo stesso modo dobbiamo prendere il coraggio di distanziarci dai nostri modelli che, se prima ci hanno iniziato alle basi del canto, a lungo andare ci ingabbieranno in stereotipi che non ci appartengono. In una nazione dove la maggior parte dei gruppi pop-rock sono delle cover o tribute band questa è la logica e dannosa conseguenza.
Tutti possono cantare?
Certamente si! Bisogna però chiedersi per quale motivo cantiamo e quali sono le nostre aspirazioni.
Chi crede in Dio come me pensa che ognuno di noi ha ricevuto dei doni particolari che nessun altro possiede e dovrebbe impegnarsi affinché questi diventino le nostre principali attività nella vita, però nulla vieta di amare la musica e cantare anche con un discreto successo, gli effetti positivi del canto sono molteplici sia a livello mentale che fisico quindi perché no.
Altro discorso invece è per chi vuole intraprendere un percorso professionale, la prima cosa da fare è cercare una figura in grado di aiutarci a sviluppare le nostre caratteristiche, di colmare le nostre lacune (in seguito darò dei consigli su come scegliere il proprio insegnante) e di darci con franchezza il quadro della situazione su noi stessi.


continua...





venerdì 26 ottobre 2012

La "bella" voce


Quando una voce si dice “bella”?


Quante volte abbiamo sentito espressioni del tipo:”Per cantare bisogna avere una bella voce” oppure “Se non si nasce con una bella voce non serve a nulla studiare” o peggio ancora “Non puoi cantare perché non hai la voce”? Tutte frasi che definire scoraggianti soprattutto per chi si affaccia al mondo del canto è dir poco.
Quest'ultima deprimente esclamazione ci può però aiutare a ragionare, dire che per cantare bisogna avere “la” voce è una semplificazione estremamente errata perché presuppone che esista un solo tipo di vocalità che se posseduta può spalancare le porte del successo.
La realtà è ben diversa, come ho già sottolineato nella prefazione, ognuno di noi è diverso (per origini, per bagaglio di esperienza, per sensibilità, per costituzione e certamente anche geneticamente) e quindi con una voce diversa (per tessitura, per colorazione, per facilità d'uso e per motivi anatomici). Dando per acquisito il fatto che non è mai esistita nella storia dell'umanità una voce uguale ad un'altra (e che invece i cantanti di successo sono stati molti) chiediamoci allora che cosa fa di una voce una “bella voce”.
Prima di tutto suggerisco di inquadrare il proprio periodo culturale guardando anche al passato e, ovviamente, anche al territorio che ci interessa. Per quel che riguarda l'Italia si è sempre intesa come “bella voce” una voce rotonda, chiara, aperta, ben proiettata, forte e possibilmente dalle tessiture acute, tutte caratteristiche tipiche della tradizione lirica italiana.
Continuando il nostro ragionamento non possiamo quindi prescindere da questo humus culturale che riecheggia ormai nel nostro DNA musicale da generazioni, però non possiamo neanche convincerci che la questione si esaurisca qui infatti, con l'avvento del canto microfonato prima e della globalizzazione poi (che ci permette di ascoltare la musica tipica della Nuova Zelanda con un rapido click), molteplici sono le influenze e i mutamenti che ha subito l'ideale di “bella voce”.
Innanzitutto questo è significato un arricchimento non indifferente e un ampliamento delle caratteristiche vocali accettate in campo artistico dagli ascoltatori, ecco quindi che non vanno più di moda solo le voci forti e impostate (un tempo necessarie per rendere udibile il proprio canto senza l'ausilio del microfono) ma anche quelle piccole e sussurrate, non più le sole le voci acute ed aperte, tipiche del bel canto (altro termine infelice), ma anche quelle gravi e chiuse.
Oggi ogni voce ha un potenziale artistico in relazione a quanto si riesca a renderla veicolo di messaggi e di emozioni.
Certamente un cantante che si avvicinerà di più alle caratteristiche descritte, cioè il suddetto substrato italiano, avrà la possibilità di essere riconosciuto più facilmente come un buon cantante a livello popolare anche da chi non ascolta quasi mai musica dato che le sue caratteristiche sono già state ascoltate ed elogiate in passato rappresentando per l'ascoltatore un fattore di stabilità e rassicurazione ma per tutti gli altri le strade non sono chiuse anzi, l'allontanamento da un determinato modello già ascoltato ed “assorbito” dalla gente può essere l'occasione per essere una ventata d'aria fresca.

continua...





martedì 23 ottobre 2012

Tutto è interpretazione 7: esercitazione


Esercitazione di interpretazione


Ciao a tutti ecco l'ultimo spunto che mi sento di darvi per ora su questo argomento, ovvero una piccola esercitazione che consiste nell'osservazione di 2 differenti interpretazioni e, in base agli elementi che vi ho dato nel corso di questi post (potete trovarli tutti nel mio blog http://michelebrugiolo.blogspot.it/), individuare le differenze e costruire una vera e propria critica oggettiva alle interpretazioni di questi 2 artisti che ora vi vado a sottoporre.
Il brano che ho scelto è "Au suivant" interpretato inizialmente da Jacques Brel e poi da Wende Snijders.
Non vi vado a dire altro per evitare di influenzare le vostre riflessioni, vi ripeto ancora una volta che non esiste un pensiero giusto o uno sbagliato a riguardo quindi se non ricordate le mie direttive andate a dare una rapida occhiata ai post precedenti e usateli come metro di misura.
Ecco i video:




E qui la traduzione del testo:

AVANTI UN ALTRO
Nudo nella salvietta che usavo da bermuda,
Ero di fuoco in faccia, col mio sapone in mano.
Avanti un altro, avanti un altro.
Perché avevo vent'anni e si era in centoventi
Ad essere il seguente di quello che seguivi.
Avanti un altro, avanti un altro.
Perché avevo vent'anni e mi stavo scafando
Al casino ambulante di un'armata in campagna.
Avanti un altro, avanti un altro.

Io avrei preferito un po' più di tenerezza
Oppure un sorriso o almeno averne il tempo.
Ma avanti un altro, avanti un altro.
Non fu una Caporetto ma neppure Vittorio Veneto,
Fu l'ora in cui rimpiangi di essere poco pratico.
Avanti un altro, avanti un altro.
A sentire quel caporale lacchè dei miei pendenti,
Son colpi da crearvi armate di impotenti.
Avanti un altro, avanti un altro. 

Lo giuro sulla testa di quel mio primo scolo:
Da allora quella voce la sento ancora in me.
Avanti un altro, avanti un altro.
Quel respiro pesante e quell'alito forte
E' un fiato di violenza, un alito di morte.
Avanti un altro, avanti un altro.
E da allora ogni donna nell'atto di accettare
Le mie mani insicure mi sembra mormorare:
Avanti un altro, avanti un altro.

Tutti gli altri del mondo si dessero la mano,
Ecco che cosa grido la notte nel delirio.
Avanti un altro, avanti un altro.
E quando non deliro trovo che è più umiliante
Avere un proprio seguito che essere un seguente. 
Avanti un altro, avanti un altro.
Un giorno mi farò eremita o santone indù, 
Qualcosa, ma vi giuro che non sarò mai più
Quell'altro, quell'altro.

Buona osservazione :-)

mercoledì 10 ottobre 2012

Tutto è interpretazione 6: conclusione?


Conclusione?


Come ho voluto sottolineare nel titolo con il punto di domanda non si può parlare di vera e propria conclusione in questo ambito, risulta difficile se non impossibile tirare delle somme su di un argomento così vasto e così soggettivo come l'interpretazione, il mio tentativo è stato quello di delineare delle griglie a maglie allargate in modo che all'interno di esse tutti possano prendere ciò di cui necessitano per rendere la propria interpretazione più viva, varia e convincente.
Una conclusione perentoria però mi sento di volerla dare e riflette il titolo che questi articoli hanno in comune fin dall'inizio e cioè: Tutto è interpretazione, non scordiamocelo mai! Neppure nelle serate in cui abbiamo mille pensieri per la testa. Dobbiamo trovare il tempo e il modo di concentrarci su quello che canteremo e del modo in cui staremo sul palco. 
Il tempo di concentrarsi infatti va trovato prima dello spettacolo e non durante, fare pause troppo lunghe tra un brano e l'altro è sinonimo di poca professionalità soprattutto se ne approfittiamo per parlare con i musicisti daremo l'impressione di essere spaesati. Chi si fermerebbe ad ascoltare ciò che ha da dire una persona evidentemente non a suo agio?

Concludo tornando all'inizio di questa serie di articoli: spesso si distinguono i cantanti più portati all'interpretazione da quelli più ferrati nelle doti tecniche, ancora una volta dovremmo riflettere sui vantaggi e svantaggi di ciascuna categoria per renderci conto che la situazione ideale sta nel mezzo.
Il lavoro tecnico-vocale va portato avanti di pari passo con quello interpretativo perché l'interpretazione senza tecnica pecca di scarsa chiarezza e la tecnica senza interpretazione manca di calore umano: la tecnica ci permette di far capire ciò che sto dicendo mentre il calore umano lo rende vero e accessibile a tutti (siamo tutti esseri umani ma non tutti padroneggiamo la tecnica canora), entrambe le cose sono prerogative fondamentali per la buona comunicazione nella vita come nel canto.

Prossimamente "esercitazioni di analisi interpretativa..."


lunedì 8 ottobre 2012

Tutto è interpretazione 5: il corpo



Interpretare il corpo


Veniamo dunque all'aspetto più personale di tutti, l'atteggiamento del corpo sul palco.
Come un professionista nell'emettere una voce piccola in realtà non canta con poca voce ma va ad agire sui parametri che permetto al suo canto di essere minuto ma pur sempre presente, così anche il corpo sul palco non deve mai scomparire.
Teniamo presente che tutto quello che noi facciamo sul palco vive in una dimensione che non è quella reale, ma quella teatrale. Dobbiamo rendere visibili i nostri gesti, espressioni, movimenti a tutto il pubblico e non solo alle prime file quindi bisogna esagerare!
Questo non significa diventare dei polipi sbracciati ma che i gesti che decidiamo di fare vanno fatti con sicurezza e in modo ampio, visibile.
Tutto ciò che il pubblico non percepisce come intenzionale viene automaticamente percepito come indecisione, fuori luogo e quindi brutto.
Camminiamo con calma in modo che anche i più distratti capiscano che stiamo facendo dei passi in avanti, appoggiamo sempre il peso con sicurezza scaricandolo al suolo prima di fare altri movimenti, esageriamo gli sguardi che sono un grande mezzo di trasmissione ma che per loro conformazione sono piccoli e sfuggevoli, non intimoriamoci nel fissare qualcuno che ci sta fissando perché sarà come dedicargli il brano che stiamo cantando.
Ricordiamoci sempre che dobbiamo essere coerenti con il nostro sottotesto e quindi scegliere atteggiamenti in continuità con esso, il solo fatto di scegliere di cantare un brano in piedi o da seduto cambia completamente l'intenzione del brano.
Altri criteri di scelta possono essere: tenere in mano il microfono o usare l'asta, stare ben eretti difronte al pubblico o più rannicchiati, cantare di profilo,a tre quarti o in taglio, interagire con i musicisti, col pubblico o estraniarsi come se si cantasse per se stessi ecc ecc...
L'importante è rimanere sempre dentro il brano perché sul palco anche quando non si canta... si sta cantando, evitiamo di deconcentrarci nelle parti strumentali dei brani, manteniamo lo sguardo presente e diretto sul pubblico per non interrompere la comunicazione.
Un buon esercizio è quello di crearsi un'immagine di se da sotto il palco, in base ai nostri gesti e movimenti immaginiamoci visti dal di fuori in modo da controllare se quello che stiamo facendo è veramente utile e convincente oppure no. Come l'orecchio è l'organo di controllo esterno della voce, così l'immaginazione deve diventarlo per la postura.





venerdì 5 ottobre 2012

Tutto è interpretazione 4: il respiro


Interpretare il respiro



Fin dalle prime lezioni di canto ci insegnano qual'è la respirazione più adatta per accompagnare la fonazione rendendola comoda e stabile, ma, quello che voglio sottolineare, è che ad ogni tipo di respirazione corrispondono dei cambiamenti sul tipo di emissione e di sensazione che si trasmette.
  • Respirazione alta o clavicolare: Voce più esile,insicura, timida, ansiosa, rigida, favorisce la costrizione delle corde false e quindi le sporcature.
  • Respirazione toracica o intercostale: Voce stabile ma con poca autonomia d'aria, poca presenza, vicina al parlato, favorisce la percezione della consonanza vibratoria pettorale agevolando la presenza dei bassi.
  • Respirazione bassa o diaframmatica: Voce stabile e ben presente, tendente però infossamento e con scarsa agilità, più calda e rotonda.
  • Respirazione mista o costo-diaframmatica: Voce stabile, presente, equilibrata, ben udibile e per questo anche la più standard.

Altra possibilità che la respirazione ci da è quella di rendere il fiato udibile oppure no, sia in fase di inspirazione che di espirazione con risultati interpretativi molto diversi.
Sapersi orchestrare, cambiando a seconda dell'intenzione che vogliamo dare il tipo di respirazione, è un arma in più per rendere ancora più convincente e “vissuta al momento” l'interpretazione del brano. E' bene usare le respirazioni in modo intelligente guardando al risultato finale in base anche alle tessiture delle note da cantare.



mercoledì 3 ottobre 2012

Tutto è interpretazione 3: la voce


Interpretare la voce



In realtà lo facciamo quotidianamente senza rendercene conto, in base a ciò che diciamo e a chi lo diciamo cambiamo tono e range vocale: se vogliamo essere dolci usiamo un timbro soffiato, caldo e una tessitura bassa, se vogliamo essere aggressivi aumentiamo il volume e tendiamo a nasalizzare, se vogliamo essere sarcastici alziamo l'intonazione e chiudiamo la voce rendendola stridula.
Nel cantare un brano ovviamente non possiamo cambiare l'intonazione delle note ma possiamo giocare sul tipo di emissione.
Teniamo presente che ormai esistono delle relazioni voce-emozione standardizzate che si richiamano vicendevolmente con molta forza, basta semplicemente guardare un film con dei bravi doppiatori per rendersene conto ma, nulla vieta, di decidere di fare l'esatto opposto per dare un effetto spiazzante al brano come sempre accade è una questione di scelte.
Ecco qualche esempio di come possiamo modificare il nostro suono:
  • Più o meno chiaro (alzando ed abbassando la laringe)
  • Più o meno schiacciato (comprimendo e rilassando il colletto della laringe:twang)
  • Più o meno arioso (avvicinano o allontanando le corde vocali nel loro ciclo vibratorio)
  • Più o meno tremolante (controllando il flusso del fiato)
  • Più o meno presente (controllando lo spessore cordale)
  • Più o meno graffiato (controllando la costrizione delle false corde) ecc ecc...

    Prossimamente vedremo "interpretare il respiro"...


sabato 29 settembre 2012

Tutto è interpretazione 2: il sottotesto


Cos'è il sottotesto?


Il sottotesto è la semplificazione del messaggio emotivo che scorre al di sotto del testo cantato, è un substrato di intenzioni da tenere a mente come un appiglio ed un collante per dare coerenza all'interpretazione del brano.
Più il sottotesto da noi scelto è sintetico e primitivo nella sua visceralità e più sarà efficace.
Se cantiamo un testo in inglese, il sottotesto (a meno che non siamo madrelingua) per essere il più vicino possibile a noi sarà in italiano. Allo stesso modo se proveniamo da una famiglia in cui si parla spesso il dialetto, questo ci può aiutare usandolo per costituire sottotesti più schietti, diretti e passionali (tutte caratteristiche che i dialetti posseggono e che sono state smussate nella creazione della lingua italiana).
Quando l'obbiettivo è dare vitalità alla nostra interpretazione vale tutto!
Non dobbiamo sentirci inibiti se il sottotesto che stiamo creando è violento, sessualmente esplicito o al contrario troppo sdolcinato, (anche perché non lo dovrà leggere nessun altro) dobbiamo far cadere anche queste barriere mentali affinché il sottotesto lavori in noi in modo che le emozioni latenti presenti in un brano diventino le nostre.
Pescare dal proprio bagaglio di vita è fondamentale (ammesso di trovare qualcosa di inerente al significato del brano) per rendere ancora più viscerale il nostro sottotesto e quindi l'interpretazione finale, focalizzare la ragazza/o che ci ha fatto soffrire spezzandoci il cuore è una grande risorsa per l'interpretazione di tantissimi brani che hanno come soggetto un amore disilluso.
Pensare alla persona che amiamo, al contrario, ci aiuta ad entrare nel giusto punto di vista per cantare invece canzoni d'amore e così via per ogni tipo di emozione-intenzione.
Possiamo addirittura scegliere, per dare un'interpretazione più originale, un sottotesto in completa antitesi con la canzone che vogliamo cantare.
Facciamo alcuni esempi di brevi sottotesti (secondo la mia personale sensibilità) scritti in italiano per renderli comprensibili a tutti:

                       Titolo del brano                                                                   Sottotesto

Margherita (Riccardo Cocciante)  Farò di tutto per conquistarti!
Vedrai Vedrai (Luigi Tenco)   Amore le cose miglioreranno! Ma in realtà non ci credo.
Sally (Vasco Rossi)       Sally ha perso la forza di vivere.
Ancora ancora (Mina)                  Voglio fare l'amore e sentire di nuovo il tuo corpo sul mio.
Bocca di rosa (Fabrizio De Andrè)    La società è così apatica da necessitare di una prostituta
                                           per imparare ad amare.
Sogna ragazzo sogna (Roberto Vecchioni)    Segui le tue idee e i tuoi sogni, ascolta questo
                                                                      vecchio che non l'ha fatto e ora se ne pente.
Dieci ragazze (Lucio Battisti)     Non riesco a dimenticarti nonostante ti abbia
                                                                  rimpiazzata con altre belle ragazze che non dicono mai di no
Rospo (Quintorigo)            Ribaciami per farmi tornare rospo! Stavo meglio prima
4/3/1943 (Lucio Dalla)      L'incondizionato amore della mamma.
Fatti mandare dalla mamma (Gianni Morandi)   Muoviti a scendere c***o che voglio sapere chi era
                                                           quel bastardo che ti ha presa per mano!

Un buon esercizio per imparare a creare sottotesti convincenti è quello di osservare le esibizioni dal vivo dei grandi interpreti e giocare ad indovinare quale potrebbe essere il sottotesto che stanno impersonificando e quale invece sarebbe quello più adatto a noi notando le eventuali differenze.

Una volta focalizzato il sottotesto sarà più facile entrare nel brano, il passo decisivo da compiere ora è esplicitare il sottotesto.
Non potendo recitarlo dobbiamo farlo trasparire: con il nostro timbro, scegliendone il colore vocale più adatto, con i nostri respiri scegliendone l'intensità e l'altezza ed infine con il nostro modo di stare sul palco scegliendo posture e gesti.
Se vi state domandando dove sta la spontaneità in tutto ciò vi rispondo che anche nel canto c'è ben poca spontaneità!
Come si studia la tecnica per rendere la fonazione sicura e meno pericolosa, si dovrebbe studiare l'interpretazione per renderla convincente e professionale, sul palco poi si raccoglierà solo ciò che si ha seminato perché le cose verranno di conseguenza sia sul piano tecnico che interpretativo senza più dover pensare a cosa fare per ottenere un certo risultato, l'obbiettivo è l'automazione di certi meccanismi studiati a tavolino.  



venerdì 28 settembre 2012

Tutto è interpretazione

Parliamo ora di un argomento tanto importante che se usato come criterio di catalogazione può spaccare a metà il mondo del canto.
L'interpretazione è l'arte di rendere credibile ciò che si sta cantando.
Quando si canta una canzone si dovrebbe avere sempre a mente che non si sta solo suonando il proprio corpo ma si sta allo stesso tempo recitando! Quanto brutte sono quelle fiction o quei film in cui gli attori non sono affatto bravi e poco convincenti nella loro parte?
Perché proprio di questo si sta parlando, indipendentemente dal tipo di testo che si sta cantando (anche quelli non-sense) il cantante deve riuscire a convincere il pubblico che il testo non solo riflette il proprio stato d'animo ma che è frutto del ragionamento che sta proponendo proprio in quel palco e proprio in quel momento.
In altre parole non bisogna cantare un testo ma bisogna viverlo.
Questo è impossibile se non si è assimilata perfettamente la tecnica vocale necessaria all'esecuzione del brano (un brano cantato calcando l'interpretazione ma con scarsa sicurezza tecnica fa recepire l'emozione del cantante come insicurezza, corrompendo completamente il messaggio che si vuole trasmettere) e ovviamente il testo a memoria, ogni incertezza va ad interferire nel flusso “magico” di comunicazione che si instaura tra chi ha il microfono in mano (e si trova in una posizione rialzata ed illuminata) e la platea (che si trova più in basso e al buio).
La stessa posizione in cui il cantante-attore si trova fisicamente dovrebbe far riflettere:
Perché il cantante si trova in quella posizione privilegiata?
1) Perché ha qualcosa da dire e lo deve fare offrendo tutto se stesso: la propria voce ma anche il proprio corpo, i propri pensieri e le proprie emozioni per non sprecare il privilegio che riceve nel potersi ritrovare su quel palco.
2) Perché il pubblico si aspetta di ascoltare ciò che l'artista ha da offrire, bisogna sempre tenere a mente che un musicista è “dipendente di tutti”, l'arte che propone non è stata inventata da lui (chi può dire di aver inventato il canto? Nessuno, infatti esso è un dono) e quindi non dovrà in nessun modo mancare di rispetto nei confronti del pubblico né tanto meno sentirsi intimorito da chi è li proprio per sentirlo “parlare”.
Quella posizione cosa conferisce al cantante?
Conferisce autorità di “parlare” a chi brandisce il microfono. Quotidianamente assistiamo a pubblicizzazioni o manifestazioni pubbliche nelle quali qualcuno si sforza di farsi ascoltare da chi in realtà non è minimamente interessato ai suoi discorsi perché non si trova li allo scopo di ascoltarli! Per il canto (e l'arte in generale) il discorso è opposto, ovvero il pubblico sapendo del concerto si raduna ai piedi del palco pieno di aspettative,** prima ancora che il cantante entri in scena il pubblico quindi è già completamente “suo”.**
Ovvio dire che salire sul palco tenendo a mente questi concetti è ben diverso che farlo con il terrore del giudizio altrui, in quante serate abbiamo avuto l'impressione di dover andare al patibolo invece che di andare a soddisfare il bisogno d'arte della gente? Bisogna infatti tenere a mente anche questo: le persone, specialmente al giorno d'oggi, hanno profondamente bisogno d'arte perché questa arricchisce la vita e solleva l'animo di chi la riceve.** Con la nostra voce non facciamo altro che nutrire il pubblico. **
Quando un affamato vede il cuoco che sta preparando da mangiare come sarà il suo atteggiamento nei suoi confronti?
Sicuramente sarà un atteggiamento propositivo e propenso al pensare bene! Anche il pubblico che è giunto al luogo del concerto sarà propositivo e propenso ai buoni giudizi, spetta a noi mantenere ed aumentare la gioia che questi “bisognosi” hanno di musica.
Ovviamente la reazione sarà diversa in base alla pietanza offerta e per questo il gusto compositivo e la tecnica sono fondamentali ma ciò che rende saporito e speziato il tutto è l'interpretazione.
Tutto questo discorso è importante per capire che una persona divorata dall'ansia non riuscirà ad interpretare e quindi a comunicare col suo pubblico in maniera corretta, il messaggio verrà recepito in maniera distorta, verrà frainteso ed il pubblico (che non è solo ricevente ma anche riflettente) ci restituirà indifferenza e delusione andando ad alimentare quella sgradevole sensazione che ben presto diventerà insostenibile sia per chi canta sia per chi ascolta.
Un circolo vizioso in cui il cantante è il solo responsabile del suo approccio negativo e quindi unico vero artefice del cattivo esito della serata.
Ma veniamo ora all'interpretazione vera e propria, dando per scontato che tecnica, testo e atteggiamento positivo siano già assodati, non ci rimane altro da chiederci in che modo possiamo essere convincenti.
Ciò che spesso sentiamo dire a riguardo è che dobbiamo trasmettere emozioni e il primo passo per farlo è provarle per primi in modo da essere il più possibile autentici e credibili. Sono perfettamente concorde con questa posizione ma bisogna anche essere realistici nel dirsi che riuscire a conquistare una così forte capacità di immedesimazione del testo è veramente difficile, soprattutto per un cantante che dovrebbe così calarsi dentro una ventina di personaggi per serata (tanti quanti sono i brani da interpretare).
Come spesso accade lo studio ci viene in aiuto, prepararsi a casa studiando nei minimi particolari il tipo di taglio psicologico-emotivo che vogliamo dare alle singole canzoni è fondamentale,** un grande aiuto ci viene dal cosiddetto sottotesto. **
Cos'è il sottotesto nella prossima parte...


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