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venerdì 10 maggio 2013

L'evoluzione del timbro vocale 9 CONCLUSIONE


IL CANTO SPERIMENTALE

Il culmine di ogni esibizione jazzistica è notoriamente l’improvvisazione nella quale il musicista o il cantante di turno danno dimostrazione della loro tecnica e profondità espressiva. Tutta l’evoluzione che il jazz ha vissuto dalla sua nascita ad oggi è stata accompagnata dall’evoluzione del concetto solistico da tutti i punti di vista: ritmico, melodico e armonico. Il fraseggio solistico degli anni ‘50 è diverso da quello che ha caratterizzato le decadi successive e, i musicisti più ferrati, riescono a inserire nelle loro improvvisazioni delle citazioni di quello che fu lo stile di un epoca a loro piacimento. Abbiamo visto che una cosa simile è possibile anche per l’aspetto vocale (per quanto questo sia più legato ai personaggi) che nel tempo ha subito una progressiva evoluzione verso l’intimismo timbrico, sia per una questione interpretativa che di crescente bisogno di agilità vocale nelle improvvisazioni in scat.
L’evoluzione dal linguaggio canoro jazz si è diramata successivamente anche verso zone meno consone per un cantante tradizionale caratterizzate da una ricerca di libertà improvvisativa maggiore.
In questo nuovo e nebuloso campo il timbro vocale diventa il mezzo principale di espressione, spesso le performance, soprattutto di voce sola, non si basano più sui parametri musicali ma solo ed unicamente sul bagaglio timbrico che il cantante può sfoderare. Così facendo si va a recuperare la primordialità della voce che ritrova, dopo essersi slegata dalla musica e dalla parola, tutta la sua potenza espressiva. Il legame tra parola e timbro è un ambito molto interessante da approfondire che sfocia prepotentemente nella psicologia. Generalmente si viene a creare una sorta di reazione inconscia davanti a determinate parole che obbligano l’esecutore a pronunciarle sempre in un determinato modo, con la stessa inflessione o timbro andando a danneggiare la comunicazione non verbale ossia emotiva.
Demetrio Stratos trasse conclusioni simili tramite l’osservazione della fase di lallazione della figlia neonata, ovvero si accorse che la bambina inizialmente giocava e sperimentava con la propria voce, ma poi la ricchezza delle sonorità vocali andavano perdute con l’acquisizione del linguaggio: «il bambino perde il suono per organizzare la parola». Questa osservazione di Stratos sarà il filo rosso che attraverserà per intero il suo percorso artistico e non solo.

Eliminando questa sorta di ricatto psicologico che la parola induce si vanno a recuperare colori timbrici inusuali legati spesso ad emozioni che difficilmente mostreremmo in pubblico ma non per questo da eliminare. In questi ambiti, definiti poi d’avanguardia o di musica contemporanea, si alternano proprio come negli standard jazz parti scritte e liberamente interpretate ad altre completamente improvvisate. I maggiori esponenti di questa che io definisco improvvisazione timbrica sono: Cathy Berberian, Meridith Monk, Demetrio Stratos e Diamanda Galas. L’elenco potrebbe allungarsi di molto ma ho preferito limitarmi ai nomi storici. Interessanti da sottolineare sono gli approcci con i quali i due nomi più famosi hanno intrapreso la loro ricerca vocale e stilistica.

Demetrio Stratos  (Alessandria d'Egitto, 22 aprile 1945  New York, 13 giugno 1979) per esempio ricercava nelle tecniche canore extraeuropee nuove vie per la produzione della fonazione e lo faceva in maniera scientifica tramite l’apprendimento di queste tecniche dai maestri locali. Interessante a livello improvvisativo fu la collaborazione con John Cage in particolare l’approccio vocale ai Mesostics.
I Mesostics sono delle sorte di partiture dove vengono indicate lettere scritte a caratteri, grandezze e posizioni diverse in modo da suscitare nell’interprete una sorta di tendenza interpretativa diversa in base alle loro forme. In queste performance Demetrio Stratos improvvisava l’uso del timbro sul testo dato andando a cercare nel bagaglio che le sue ricerche gli avevano consentito di accumulare.


Altro esempio di improvvisazione timbrica si può avere con Stripsody, una partitura dallo stile fumettistico dove interpretare non più solo delle lettere ma anche disegni, particolarmente famose furono le interpretazioni della sua compositrice Cathy Berberian  (Attleboro, 4 giugno 1925  Roma, 6 marzo 1983).



Meredith Monk (New York, 20 novembre 1942) è stata tra le prime grandi sperimentatrici vocali e improvvisatrici timbriche e il suo percorso, diversamente da quello di stampo più marcatamente scientifico-esplorativo di Stratos, è basato sulla ricerca di espressività artistica più che sulla tecnica vocale fine a se stessa. Ci sono emozioni, stati d'animo, visioni, per cui l'espressione linguistica le appare inappropriata, limitativa, a volte addirittura inesistente nel vocabolario di una lingua. Sensazioni e turbamenti che magari non conosciamo, perché estranei al nostro mondo o che forse abbiamo dimenticato, indaffarati nei corsi e ricorsi della nostra storia. Affascinata da simili congetture, decide di votare il suo intero percorso alla ricerca di un'espressione artistica in grado di rappresentare le trepidazioni dell'eternamente umano, scavando sempre più a fondo nella riesumazione degli strati più primitivi del nostro subconscio tramite la ricerca che venne definita di archeologia vocale.
La particolarità che distingue la sua attività è che viene trasferita da una condizione di individualità ad una di collettività, Meredith Monk spesso si esibisce e incide i suoi lavori con un Ensemble vocale dimostrando che il linguaggio vocale non necessita per forza dell’ausilio della parola per poter essere comprensibile.

I lati più oscuri e ancestrali della voce ci vengono, invece, offerti dall’arte performativa di Diamanda Galas (San Diego, 29 agosto 1955). Nessuno più di lei è riuscito a portare lo strumento naturale per eccellenza verso lande di tormentata espressività e lancinante compartecipazione. Se non è la cantante più dotata da un punto di vista strettamente tecnico (faccenda che a lei, per sua stessa ammissione, interessa ben poco, tanto da non sopportare che si parli dell’entità della sua estensione vocale) nessuno, con l’eccezione di Meredith Monk (la cui musica è comunque estremamente diversa, sia per forma sia per intenzionalità), ha saputo realizzare un linguaggio vocale-musicale tanto eclettico, di così ampio respiro, per un così alto numero di opere. I concetti di dolore, sofferenza, umiliazione, sia fisica che psicologica, saranno sempre al centro della poetica della cantante: è sua intenzione dare voce a coloro che di norma non hanno diritto ad esprimersi, vale a dire i reietti, i sconfitti, gli abbattuti, i feriti. Vuole dar voce o meglio timbro (e quindi identità) all’inascoltabile, a ciò che la società, per convenzione, paura e rigetto, rifiuta di ascoltare.



CONCLUSIONE

Arrivati a questo punto, dopo aver descritto il percorso timbrico vocale all’interno della storia del jazz, per quanto sia stato necessariamente semplificato e stilizzato, c’è una considerazione da fare. Mentre agli albori dello scat il cantante imitava il fraseggio, l’inflessione e lo stile degli strumenti musicali, con l’emancipazione dell’improvvisazione timbrica si è andati in senso opposto ovvero si è recuperata la consapevolezza della voce come primo vero strumento imitato da tutti gli altri. Così facendo si è sempre più ricercata una strada praticabile solo dallo strumento voce che, per costruzione, è lo strumento più duttile e più vicino all’animo umano in quanto ne esteriorizza direttamente le emozioni.
Non è detto che un approccio escluda l’altro, anzi, personalmente credo che più si esplora la tavolozza dei colori timbrici e più abbiamo la possibilità di esprimerci meglio, sia all’interno di una struttura musicale standard sia nell’improvvisazione più viscerale. Molti puristi criticano l’improvvisazione timbrica affermando che non sia più jazz, a questi vorrei ricordare che il jazz nasce prima di tutto come fenomeno sociale di incontro-scontro tra culture, etnie, religioni e musiche di popoli diversi dando ad ognuno la possibilità di emergere e far spiccare le proprie caratteristiche durante gli assoli, va da se che un genere così legato alla multiculturalità e alla libertà di azione non è limitabile a dei parametri stilistici fissi. Spesso invece si è prestato all’apertura nei confronti di nuove influenze finendo con inglobarle e ampliare i propri orizzonti fino all’avanguardia.
È proprio nel limite ormai invisibile tra jazz e avanguardia che il timbro vocale ritrova tutta la sua libertà espressiva pur non perdendo mai del tutto un senso dello stile e anche di riconoscenza nel confronti del linguaggio jazzistico più classico. Vorrei inoltre affermare per concludere che lo studio del timbro, quanto mai sottovalutato in ambito accademico, risulta la più fondamentale arma per la seduzione del pubblico del jazz che, contrariamente alle platee che frequentano ambienti musicali diversi, è abituato alla ricerca di novità ed ama farsi sorprendere dicendo, come nel famoso film “The jazz singer” (1928): "Aspettate un momento, aspettate un momento, non avete ancora sentito niente!"












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GRAZIE PER AVERMI SEGUITO IN QUESTO AFFASCINANTE VIAGGIO, DAL PROSSIMO POST SI CAMBIERÀ  DECISAMENTE ARGOMENTO: 
PRESENZA SCENICA COME GESTIRE IL CORPO E L'ANSIA SUL PALCO

a presto!!! :-)

L'evoluzione del timbro vocale 8


LE VOCI ARCOBALENO

DOMANDA: IN CHE MODO LEON THOMAS HA AFFERMATO DI AVER SCOPERTA LA TECNICA DELLO JODEL?

Dopo questa rapida carrellata di personaggi ordinati in base al percorso che abbiamo denominato di intimizzazione del timbro vocale, prendiamo ora in considerazione alcuni esempi di cantanti che fanno dell’inafferrabilità timbrica la loro dote migliore. Questo, evidentemente, non significa che i prossimi casi analizzati non presenteranno un timbro di partenza specifico e personale come in quelli precedenti e come in ogni persona, ma sta a significare che prendendo in toto il significato di jazz come improvvisazione, hanno fatto la scelta di improvvisare non solo melodicamente e ritmicamente ma anche timbricamente. Potremmo individuare una sorta di percorso anche in questo capitolo, non più verso l’intimismo timbrico ma verso l’improvvisazione timbrica. Dopo il netto distacco conseguito nel tempo dal substrato lirico arriviamo adesso ad un completa e totale inserimento della voce nella musica jazz riscoprendolo ancora una volta e forse più che mai come lo strumento più malleabile e ricco di sfaccettature che più di tutti incarna le possibilità di variazione sonora elevandosi allo strumento potenzialmente principe dell’improvvisazione.

Mark Murphy
Noto ai più per le sue improvvisazioni in vocalese (improvvisazioni dal carattere strumentale ma dotate di un testo scritto) Mark Murphy (nato il 14 marzo 1932) è un pop-jazz crooner di rara e veemente flessibilità vocale.
La sua voce baritonale dalla grana spessa ed elegante gioca spesso con i fruscianti pianissimo, i vigorosi shouts e i falsetti vibranti che mimano gli shakes di tromba. Nell’ultima parte della sua carriera esaspera ancora di più le diversità timbriche della sua voce soprattutto durante le improvvisazioni miscelando sapientemente i suoi colori. Con un’ottima dose di swing riesce ad utilizzare suoni che se presi separatamente possono risultare fastidiosi ma che nel contesto rappresentano dei punti di climax perfettamente coerenti con il discorso improvvisativo da lui intrapreso.


Leon Thomas
Baritono poderoso e pieno di sfumature Amos Leon Thomas Jr (4 ottobre 1937 – 8 maggio 1999) ha realizzato una sintesi tra le diverse tradizioni del canto nero afroamericano miscelando la virile dolcezza dei moderni crooner agli effetti melodrammatici dei blues shouter. Si è fatto soprattutto notare per un’ipertrofia di scat che da una voce di petto e una voce di testa oscilla ossessivamente nello jodel riuscendo ad imbastire perfette frasi melodiche caratterizzate quindi da salti continui. Lo jodel, tecnica usata in varie parti del mondo nei canti tradizionali, rompe definitivamente il concetto di unità della voce spezzandola in due diverse personalità in una schizofrenia timbrica che segnerà da quel momento in poi la ricerca di tutti quegli sperimentatori vocali che si susseguiranno a lui. In una intervista ha dichiarato di aver scoperto questa tecnica dopo essere caduto e aver rotto i denti appena prima di un importante spettacolo.


Al Jarreau
Cantante jazz prima di essere una celebrità del music business, Al Jarreau, nome d'arte di Alwyn Lopez Jarreau (Milwaukee, 12 marzo 1940) produce un pop raffinato in linea con le mode, nonostante ciò, il suo approccio vocale non cede sempre al facile. La sua voce neutra, stimbrata e senza gran vibrato, si esprime mirabilmente nell’arte dello scat e delle percussioni vocali prediligendo d’altronde la poliritmia derivata dalla tradizione africana. È senz’altro dotato di una grande estensione e di una grande flessibilità che gli permettono repentini cambi di registro. Spesso usa la sua voce per imitare gli strumenti non soltanto dal punto di vista ritmico e melodico ma anche timbrico giocando durante gli scambi con uno strumento, o con l’altro a ricalcarne melodia e suono. A suo favore in questo campo gioca la naturale propensione alla nasalizzazione del suono che ben si compara con la tipica caratterista di penetranza dei fiati.







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RISPOSTA: CADENDO APPENA PRIMA DI UN CONCERTO E ROMPENDOSI DEI DENTI :-) 


giovedì 9 maggio 2013

L'evoluzione del timbro vocale 7


Chet Baker: la voce d’angelo del jazz

DOMANDA: QUAL'E' LA CARATTERISTICA TIMBRICA CHE SALTA ALL'ORECCHIO SENTENDO SUONARE E CANTARE CHET BAKER?

«Siamo di fronte a un trombettista che anche canta o ad un cantante che anche suona la tromba?», domanda legittima quella posta da Donald Vincent espressa nella presentazione della riedizione del 2010 del disco Chet Baker Sings. It Could Happen to You. In effetti ciò che avvertiamo ascoltando Chesney Henry «Chet» Baker Jr. (Yale, 23 dicembre 1929  Amsterdam, 13 maggio 1988) è un'inscindibilità, un legame forte, tra voce e tromba, due espressioni di un'unica personalità, diversa da quelle di qualsiasi altro jazzista conosciuto. «Perché il suo approccio allo scat», scrisse Bill Grauer già nelle note di copertina del 1958 «sta a metà strada tra il modo di suonare e il modo di cantare».
Diversamente da ciò che abbiamo già analizzato in Louis Armstrong, ovvero quel netto stacco stilistico e sonoro tra voce e strumento, la relazione tra canto e tromba in Chet Baker trova la sua coerenza proprio nel timbro. Entrambi i suoni infatti sono sommessi, sottili, quasi timidi ma sempre definiti e molto comunicativi. La sua voce d’angelo, come è stata definita probabilmente anche in antitesi con la sua personalità autodistruttiva (fatale gli sarà la sua dipendenza dall’eroina), rappresenta un violento salto in avanti nel nostro percorso di modernizzazione del timbro ed anche un vero punto d’arrivo per quel che riguarda la nostra analisi, sia la tromba che la voce emanano un calore tenue quasi da fiamma di candela e introducono una situazione di intimità. Una grande caratteristica dell’arte di Baker sicuramente fu la dedicabilità di ogni sua performance, sembrava infatti che Chet suonasse sempre e solo per te in quei precisi momenti.



Il suo timbro cristallino, che nel tempo andrà a modificarsi a causa degli abusi di droga che porteranno anche all’estrazione dei denti anteriori in seguito ad una presunta rissa con uno spacciatore conservando intatto il suo fascino ipnotico, quasi sempre privo di vibrato, chiaro e velato, data la sua abitudine di non aprire mai troppo la bocca, sono in completa antitesi con l’ormai vecchia tradizione belcantistica e si stacca nettamente anche dal mondo patinato dei crooner pieni di sovrastrutture. Baker divenne un caposcuola tra i cantanti jazz che trovarono in lui uno stile vocale nuovo e completamente inseribile all’interno del jazz senza sentire l’eco lontano di altre influenze e permettendo, a chi segue ancora oggi il suo esempio, di approfondire ancora di più la visione di una voce-strumento coerente con la propria sensibilità perché, probabilmente, è proprio per se stesso che Chet Baker suonava e cantava. C’è chi dice che lo facesse per guadagnare soldi per l’eroina, sconfinata è la discografia infatti di Baker anche con etichette e gruppi semisconosciuti, e chi, invece, sente nella sua voce la costante malinconia di chi, conscio del proprio disagio, sa che non potrà mai farne a meno. La sua era una flebile preghiera di raccomandazione per se stesso o forse era la voce del suo angelo. 



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RISPOSTA: LA CARATTERISTICA CHE SALTA SUBITO ALL'ORECCHIO E' L'ESTREMA COERENZA TIMBRICA TRA IL SUONO DELLA TROMBA E LA SUA VOCE,

lunedì 6 maggio 2013

L'evoluzione del timbro vocale 6


Nat King Cole: lo charm del sottovoce

DOMANDA: QUALE FU LA FURBERIA TECNICA USATA DA NAT KING COLE PER RENDERE AFFASCINANTI LE SUE INTERPRETAZIONI?

«La mia voce non ha nulla di cui andare fieri. Ha circa solo due ottave di estensione. Credo che sia il rauco, il rumore ansimante che piace ad alcuni». 
Questo diceva di sé Nat King Cole ed è strabiliante leggere una dichiarazione del genere fatta da un cantante su se stesso, ma ciò che Nat King Cole, nome d'arte di Nathaniel Adams Coles (Montgomery, 17 marzo 1919  Santa Monica, 15 febbraio 1965), aveva perfettamente capito di se stesso era che il valore assoluto della sua voce risiedeva proprio nel timbro. Fa impressione leggere quel «piace ad alcuni» se pensiamo che Cole fu uno dei cantanti più influenti della sua epoca, e non solo, andando a determinare un passo molto importante nel percorso che abbiamo definito verso l’intimismo timbrico.
Con Nat King Cole infatti facciamo un passo indietro ma due in avanti, se dal punto di vista prettamente sonoro la sua voce voleva essere calda e affascinante come si usava un tempo, dall’altro ha raggiunto questo obiettivo senza appesantirla in modo artefatto ma sfruttando al massimo la tecnologia microfonica e riducendo al minimo il volume della voce. «Aveva un modo tutto speciale di carezzare ogni parola», scrive Henry Pleasants, «di avvolgervi attorno alla propria voce. Così intima era questa identificazione con la musica implicita nella lingua inglese che è impossibile evocare il ricordo della sua voce senza quello delle parole che ad essa si accompagnano».


Nat King Cole pensava che il segreto del calore della voce risiedesse nel fumo. Era infatti un fumatore accanito di sigarette al mentolo e credeva che un consumo di almeno tre pacchetti al giorno avrebbe dato alla sua voce una tonalità più ricca. Arrivò al punto di fumarne diverse proprio prima di registrare, vizio che gli costò la vita dato che morì a soli 45 anni per un cancro ai polmoni. Il suo charme risiedeva, invece, nella confidenzialità della sua voce baritonale beige tenuta sempre a freno nel volume sfruttando la grande apertura della bocca per far fuoriuscire il suono al meglio senza la necessità quindi di spingere il fiato. Il risultato era un sussurro in mezza voce che catturava l’attenzione dell’ascoltatore e una volta ottenuta non la lasciava più andare tenendola sempre viva con continui ammiccamenti.
Come sottolineava Henry Pleasants, Nat ha oltretutto insegnato a curare a fondo la dizione, da sempre ignorata, per renderla plastica, sonora e musicale: parte integrante del quadro interpretativo. Non dimentichiamo poi l’intonazione: ricordiamo infatti la grandissima importanza e bravura anche del Nat King Cole pianista che contribuì a definire lo standard del trio jazz.




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RISPOSTA: NAT KING COLE CONSCIO DEI LIMITI DEL SUO STRUMENTO PUNTANDO TUTTO SULLA SUA CARATTERISTICA MIGLIORE OVVERO IL TIMBRO, NE SFRUTTO' TUTTE LE SFUMATURE RIDUCENDO DRASTICAMENTE IL VOLUME RISULTANDO UNA VOCE INTIMA E RASSICURANTE.

giovedì 2 maggio 2013

L'evoluzione del timbro vocale 5


Billie Holiday: la voce scomoda della strada

DOMANDA: GRAZIE A COSA BILLIE HOLIDAY RIUSCIVA AD INTERPRETARE I BRANI IN MANIERA COSI' PERSONALE E TOCCANTE?

La carriera e la vita di Billie Holiday, nome d’arte di Eleanora Fagan o Elinore Harris, nota come Lady Day (Filadelfia, 7 aprile 1915  New York, 17 luglio 1959) furono segnate dalla dipendenza dall'alcool, dalla droga, da relazioni burrascose e da problemi finanziari. Billie ebbe un'infanzia travagliata e dolorosa: venne trattata duramente dalla cugina della madre alla quale quest'ultima l'aveva affidata mentre lavorava come domestica a New York. Subì uno stupro a dieci anni e, in seguito, dovette evitare diversi altri tentativi di violenza. Ancora bambina, raggiunse la madre a New York, e cominciò a procurarsi da vivere prostituendosi in un bordello clandestino di Harlem. Guadagnava qualche soldo in più lavando gli ingressi delle case del quartiere: non si faceva pagare solo dalla tenutaria del bordello, che in cambio le lasciava ascoltare i dischi di Bessie Smith e Louis Armstrong sul fonografo del salotto. Quando la polizia scoprì il bordello, Billie venne arrestata e condannata a quattro mesi di carcere. Rimessa in libertà, decise, per evitare di tornare a prostituirsi, di cercare lavoro come ballerina in un locale notturno. Non sapeva ballare, ma venne assunta immediatamente quando la fecero cantare e, ad appena quindici anni iniziò la sua carriera di cantante nei club di Harlem. Questa piccola introduzione biografica era necessaria per far capire da dove potesse uscire una voce così particolare come quella di Billie Holiday ovvero dalla sua storia personale.
Diversamente da altre sue colleghe come Ella Fitzgerald, Billie non veniva dal mondo della popular song che per forza di cose doveva essere accattivante e penetrare nell’ascoltatore ma senza impegnarlo troppo, lei veniva dal gospel e dal blues, ossia dall’area rurale e chiesastica del canto e nei brani che interpretava poneva tutta l’intensità del dramma, senza preoccuparsi di assecondare i gusti del suo pubblico. Il suo timbro risultava grezzo, senza sovrastrutture a volte pure fastidioso pieno di armoniche acute ma terribilmente vero, diversamente da Frank Sinatra che riusciva con il suo fascino vocale a convincerci della veridicità della sua interpretazione, Billie Holiday non aveva alcun bisogno di cercare di convincere l’ascoltatore perché portava sempre sul palco con la sua voce straziata e straziante la sua vita problematica.
Billie non era un’atleta del canto anche se fino alla fine degli anni ‘40 non le farà difetto una potente vocalità, ma si distingue dai suoi contemporanei seducendo per sensualità, espressività inquietante e la trasgressività. La voce con lei diviene uno strumento capace di infondere carattere alle melodie più stucchevoli arrivando a modificare i temi per adattarli alle proprie intenzioni. Questa senz’altro era anche una critica mossa alle consuetudini interpretative dell’epoca.

 
Con Billie Holiday l’impostazione vocale artefatta ereditata dal bel canto va completamente in frantumi, ne rimangono certamente alcune caratteristiche stilistiche come il vibrato spesso presente e una certa potenza vocale almeno nella prima parte della sua carriera che comunque veniva dosata in base all’interpretazione ma la cosa importante è che venivano spostate altrove le direttive della bella voce. Il timbro – un ocra chiaro, screziato – era di per sé un piccolo miracolo, solcato da cento impurità, ora velato, ora raschiante e ombreggiato, ora aperto in un candore fragile, stupito in un «flessibile tono d’oboe», come la definì il noto critico di musica jazz Whitney Balliett che nel suo stesso cangiare rivelava palpiti e spaccature emotive e l’irrequietezza di una naturale intelligenza musicale.
Se è vero che l’abuso di droghe finirà per alterare le sue possibilità vocali restringendone la tessitura e perdendo flessibilità, la sua espressività invece acquistò profondità. Al di la delle sbavature e dell’evanescenza delle sue prestazioni vocali, rimane inalterata se non addirittura amplificata la potenza emozionale impressa nell’asprezza del suo timbro temprato dalle prove e dalle sofferenze della vita. La sua arte affondò molto di più su di un investimento totale in quello che diviene l’attimo intenso di un dramma gigantesco, sconvolgente e autentico: il dramma di Lady Day, il suo.


continua...

RISPOSTA: L'UNICITA' DELLA VOCE DI BILLIE E' DOVUTA ALLA SUA VITA BURRASCOSA E ALLA SUA CAPACITA' DI CONVOGLIARLA NEI BRANI CHE INTERPRETA. PER CAPIRE MEGLIO COSA INTENDO GUARDARE IL VIDEO QUI SOPRA TRADUCENDOSI IL TESTO!